Abruzzo: vi spiego io il ROC

Abruzzo: vi spiego io il ROC

di F. Abruzzo. Il presidente dell'Ordine dei giornalisti lombardo difende il ROC, la legge sull'editoria e l'Ordine
di F. Abruzzo. Il presidente dell'Ordine dei giornalisti lombardo difende il ROC, la legge sull'editoria e l'Ordine


Roma – La terza legge sull’editoria (n. 62/2001) interpretata alla luce della delibera n. 236/2001 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
Testate on-line, la registrazione presso i tribunali è obbligatoria quando hanno una regolare periodicità. Nel Roc soltanto gli editori

Nel ROC (Registro degli operatori della comunicazione) finiranno solo gli editori che prevedono di conseguire ricavi dalla loro attività e che, comunque, puntano a ottenere dallo Stato “benefici, agevolazioni e provvidenze”. Sono queste le novità di maggior rilievo contenute nella delibera n. 236 (adottata il 30 maggio 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 giugno 2001, supplemento ordinario n. 170) con la quale l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom.) ha reso applicabile e operativa la legge 62/2001 (“Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali. Modifiche alla legge 5 agosto 1981 n. 416”).

Le testate giornalistiche on-line – in quanto “prodotto editoriale” – devono obbligatoriamente essere registrate nei tribunali e avere un direttore responsabile, un editore e uno stampatore, ma solo quando hanno una regolare periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, trisettimanale, mensile, bimestrale, etc). L’articolo 1 della legge 62/2001 è al riguardo esplicito allorché il suo terzo comma viene incrociato con l’articolo 16 (semplificazioni) della stessa legge 62, con gli articoli 2 e 5 della legge n. 47/1948 sulla stampa e con gli articoli 1, 2 e 27 della delibera n. 236/2001 dell’Agcom.

L’articolo 16 della legge 52/2001 recita: “I soggetti tenuti all’iscrizione al registro degli operatori di comunicazione, ai sensi dell’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5), della legge 31 luglio 1997, n. 249, sono esentati dall’osservanza degli obblighi previsti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. L’iscrizione è condizione per l’inizio delle pubblicazioni”. L’articolo 1 della delibera dell’Agcom (Soggetti e imprese obbligati all’iscrizione nel Roc) spiega che sono obbligati all’iscrizione nel Roc:
· i soggetti esercenti l’attività di radiodiffusione;
· le imprese concessionarie di pubblicità;
· le imprese di produzione e distribuzione di programmi radiotelevisivi;
· le imprese editrici di giornali quotidiani, periodici o riviste;
· le imprese che editano agenzie di stampa di carattere nazionale;
· i soggetti esercenti l’editoria elettronica e digitale;
· le imprese fornitrici di servizi di telecomunicazioni e telematici.

Sono evidenti le ragioni per le quali i “soggetti” e le “imprese”, descritti nell’articolo 1 della delibera, “sono esentati dall’osservanza degli obblighi previsti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47”: le imprese editoriali non hanno cittadinanza nella legge 47/1948 sulla stampa.

Presso i tribunali, invece, vengono registrate le testate giornalistiche (di cui agli articoli 2 e 5 della legge 47/1948). L’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione (Roc) “costituisce requisito per l’accesso a benefici, agevolazioni e provvidenze nei soli casi espressamente previsti dalla normativa vigente” (articolo 27 della delibera) e condiziona “l’inizio delle pubblicazioni”.


Le finalità delle due registrazioni sono divergenti: quella presso i tribunali serve a individuare le responsabilità (civili, penali, amministrative) collegate alle pubblicazioni anche telematiche; quella presso l’Agcom tutela la trasparenza del settore editoriale tradizionale e digitale (quinto comma dell’articolo 21 della Costituzione: “La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica”).

Nel Roc gli editori che prevedono ricavi dalla loro attività – Nel Roc verranno annotati i nomi degli editori (Rai, Rcs, Il Sole 24 Ore SpA, Class, Mondadori, Rusconi, Poligrafici, etc), ma non quelli delle testate giornalistiche, che fanno capo ai singoli editori. Nel Registro dell’Agcom non figureranno inoltre i dati anagrafici del direttore responsabile delle singole testate. In conclusione, vale la doppia iscrizione differenziata: gli editori nel Roc e le testate presso i tribunali. Si devono iscrivere nel Roc non solo gli editori già iscritti nel Registro nazionale della stampa (Rns), ma anche “gli altri soggetti editori che comunque pubblicano una o più testate giornalistiche diffuse al pubblico con regolare periodicità per cui è previsto il conseguimento di ricavi da attività editoriale” (articolo 2, punto d, della delibera dell’Agcom).

Due tipi di prodotto editoriale (senza o con periodicità regolare) – La legge 62/2001 e la delibera dell’Agcom delineano, quindi, due tipi di prodotto editoriale in base a quanto si legge nel terzo comma dell’articolo 1 della legge 62 (“Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’articolo 5 della medesima legge n. 47 del 1948). Il terzo comma va decrittato con attenzione secondo due schemi:

a. “Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47”. Questo passaggio dell’articolo 1 della legge 62 significa che su ogni prodotto editoriale, privo di periodicità e di testata, individuato secondo il primo comma dell’articolo 1 della legge 62 (Per prodotto editoriale, ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici) vanno indicate le prescrizioni dell’articolo 2 della legge 47/1948 sulla stampa (Ogni stampato deve indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore. I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d’informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione: del luogo e della data della pubblicazione; del nome e del domicilio dello stampatore; del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile. All’identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che contrassegnano gli stampati, deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari).
Esemplificazione concreta: il sito (www.odg.mi.it) dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, privo di periodicità e di testata, contiene le indicazioni di cui all’articolo 2 della legge 47/1948 sulla stampa. Esso è paragonabile a un libro, di cui si stampano nel tempo successive edizioni, ma senza una cadenza prefissata. Un sito di tal fatta non può essere dichiarato equipollente a una rivista perché non ha la caratteristica qualificante ed essenziale della periodicità: “Rientrano nella nozione di “rivista” anche le pubblicazioni non legate all’attualità e prive di predeterminazione di durata, di cui sia programmata la periodicità, anche se sia prestabilito il momento conclusivo e qualunque sia il contenuto informativo” (T.A.R. Lazio, sez. I, 27 dicembre 1993, n. 1827; Riviste Dir. Autore, 1995, 322). Ci sono “prodotti editoriali” (si pensi al libro!) che non sono assimilabili ai giornali e ai periodici.

b. “Il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’articolo 5 della medesima legge n. 47 del 1948”. Questo secondo passaggio dell’articolo 1 della legge 62 comporta che, sull’esempio di quanto accade oggi per i giornali e i periodici cartacei o per i tg e i radiogiornali, devono essere iscritte nell’apposito registro tenuto dai tribunali civili le testate telematiche, che abbiano le stesse caratteristiche e la stessa natura (articolo 5 della legge 47/1948) di quelle scritte o radiotelevisive, e che, quindi, hanno una periodicità regolare, un “logo” identificativo e che “diffondono presso il pubblico informazioni” legate strettamente all’attualità.


Le testate (da registrare secondo lo schema della legge 47/1948) sono, come già sottolineato, quelle quotidiane, settimanali, bisettimanali, quindicinali, mensili, bimestrali o semestrali caratterizzate (secondo l’insegnamento costante della Cassazione):
a) dalla raccolta, dal commento e dall’elaborazione critica di notizie (attuali) destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale;
b) dalla tempestività di informazione diretta a sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli, per la loro novità, della dovuta attenzione e considerazione.

Le testate con periodicità regolare sono, quindi, sottoposte ad entrambi i vincoli rappresentati dagli articoli 2 e 5 della legge 47/1948 sulla stampa. Solo l’iscrizione dell’editore nel Roc è condizione per l’inizio delle pubblicazioni. Senza questa iscrizione, i giornali e i periodici, benché registrati presso un tribunale, non possono essere stampati e diffusi.

La registrazione (presso i tribunali) delle testate on-line è un principio consacrato, per la prima volta, nell’articolo 153 della legge n. 388/2000 (Finanziaria per il 2001). L’articolo 153 della legge 388/2000 disciplina i giornali telematici espressione dei partiti e dei movimenti politici. Fino al dicembre 2000 la registrazione dei giornali telematici era frutto di un’interpretazione dei giudici (si segnala in particolare l’ordinanza del presidente del Tribunale di Roma del 6 novembre 1997 per la testata InterLex).

La legge 47/1948 sulla stampa – In base all’articolo 2 della legge n. 47/1948 i giornali on-line, analogamente a quanto avviene oggi per gli stampati (quotidiani, periodici, agenzie di stampa), saranno tenuti a “mostrare” alcuni elementi identificativi quali il luogo e la data della pubblicazione; il nome e il domicilio dello stampatore; il nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile. L’articolo 5 stabilisce che “nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi”. Il direttore responsabile deve essere iscritto negli elenchi dell’Albo tenuto dai Consigli dell’Ordine (norma legittima secondo la sentenza n. 98/1968 della Corte costituzionale). Il tribunale è quello nella cui circoscrizione la testata on-line ha la redazione. Lo stampatore è il provider, che “concede l’accesso alla rete, nonché lo spazio nel proprio server per la pubblicazione dei servizi informativi realizzati dal fornitore di informazioni” (Trib. Cuneo, 23 giugno 1997). La mancata indicazione del nome dello stampatore non fa, comunque, scattare il reato di stampa clandestina: “La divulgazione di stampati privi del nome del solo stampatore non integra né il delitto previsto dall’articolo 16 – stampa clandestina – della legge 8 febbraio 1948 n. 47, né la contravvenzione prevista dall’articolo 663 bis Cp” (Cass. pen., sez. I, 12 ottobre 1993; Riviste Riv. Pen., 1994, 1261).

Per la registrazione – dice il secondo comma dell’articolo 5 della legge 47/1948 sulla stampa -, occorre che sia depositata nella cancelleria “una dichiarazione, con le firme autenticate del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile, dalla quale risultino il nome e il domicilio di essi e della persona che esercita l’impresa giornalistica, se questa è diversa dal proprietario, nonché il titolo e la natura della pubblicazione”. Nella “natura” della pubblicazione rientra, secondo le istruzioni del tribunale civile di Milano per le “nuove registrazioni”, l’indicazione del “carattere” (politico, informativo, sindacale, sportivo, etc,) e della “periodicità” della pubblicazione stessa. L’indicazione della periodicità nella dichiarazione e accanto alla testata è, quindi, un obbligo che discende dalla legge sulla stampa.

La legge 47 punisce la diffamazione, cioè l’offesa alla dignità e all’onore delle persone; la diffusione di immagini raccapriccianti e impressionanti; le pubblicazioni, che “corrompono” gli adolescenti e i fanciulli. Obbliga i direttori alla rettifica delle notizie inesatte e alla pubblicazione delle sentenze dei tribunali a tutela dei diritti dei cittadini. La legge 47/1948 è stata elaborata dall’Assemblea costituente appena dopo il varo della Carta fondamentale, che all’articolo 21 sancisce solennemente la libertà di manifestare il pensiero non solo “con la parola e lo scritto”, ma anche “con ogni altro mezzo di diffusione” (espressione lungimirante, che oggi abbraccia anche Internet).


“L’abuso del diritto di cronaca può concretarsi anche tramite diffusione di messaggi via Internet, poiché il mezzo di diffusione non modifica l’essenza del fatto, valutabile alla stregua dei normali criteri che governano il libero e lecito esercizio del diritto di cronaca” (Trib. Teramo, 11 dicembre 1997; Riviste Dir. Informazione e Informatica, 1998, 370, n. Costanzo).

La legge 223/1990 ( o “legge Mammì”) modello per i giornali della rete – L’articolo 10 della legge 223/1990 ha esteso alle emittenti televisive e radiofoniche l’obbligo di registrazione delle rispettive testate giornalistiche e quello della rettifica (articolo 8 della legge n. 47/1948). La legge 223 ha distinto, quindi, tra giornali televisivi e giornali radio da una parte e trasmissioni effettuate dalle reti delle singole emittenti, che non fanno capo a testate registrate. Solo sui primi grava l’obbligatorietà della registrazione.
Conseguentemente nessuno può chiedere la registrazione di un portale on-line (ma solo della sezione che “diffonde informazioni presso il pubblico” legate all’attualità, contraddistinta da una periodicità regolare e da una testata “costituente elemento identificativo del prodotto”).

La ratio della norma è evidente. Il compito primario di un direttore responsabile è quello di impedire che “siano commessi delitti con il mezzo della stampa” (articolo 57 Cp) ed è anche quello di far rispettare le norme deontologiche della professione giornalistica (compreso il Codice di deontologia sulla privacy, che ha il rango di norma). Nelle redazioni devono essere applicate le clausole contrattuali (che hanno forza di legge con il Dpr 153/1961).

L’informazione “spontanea” – Va detto subito che i numeri unici non sono soggetti alla registrazione presso i tribunali (sentenza 2/1971 della Corte costituzionale). Anche i periodici telematici, che abbiano contenuti esclusivamente professionali, tecnici o scientifici, possono essere diretti da un non-giornalista (iscritto nell’elenco speciale di cui all’articolo 28 della legge 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica). Anche per i periodici on-line (connotati da scarne strutture spesso fatte di una sola persona) a contenuto informativo legato all’attualità scatta, però, l’obbligo della registrazione presso i tribunali a patto che gli stessi abbiano una regolare periodicità. Gli altri, quelli privi di periodicità, si devono limitare, come già riferito, a rispettare soltanto i vincoli dell’articolo 2 della legge 47/1948 sulla stampa (obbligo di “esporre” una gerenza!).

Deve far riflettere questa massima giurisprudenziale: “L’introduzione di informazioni su Internet ha natura di pubblicazione ai sensi dell’articolo 12 della legge. n. 633 del 1941, con tutte le implicazioni giuridiche che ne conseguono sia sul piano civilistico che penalistico” (Trib. Cuneo, 23 giugno 1997; Riviste Giur. piemontese, 1997, 493, n. Galli; Rif. legislativi L 22 aprile 1941 n. 633, art. 12).

Le pubblicazioni del volontariato (legge n. 266/1991, articolo 8 punto 1) sono esenti dal bollo e dall’imposta di registro nonché dalla tassa di iscrizione e dai diritti di segreteria dell’Ordine.

La questione dell’articolo 21 della Costituzione risolto con la sentenza n. 2/1971 della Corte costituzionale – E’ sbagliato scrivere che è in corso una campagna, “che tende a mettere sotto il controllo della corporazione dei giornalisti tutta l’informazione on line”. Nessuno comprende perché il mondo on-line voglia sottrarsi al rispetto delle regole approvate dal Parlamento repubblicano (legge sulla stampa e legge sulla professione giornalistica). Regole, che vincolano anche i giornali politici e i giornali telematici dei partiti tenuti, come già riferito, alla registrazione presso i tribunali (articolo 153 della legge n. 388/2000 o “legge finanziaria per il 2001”).


Da taluni è stato sollevato il problema dell’articolo 21 della Costituzione, che assicura a tutti i cittadini il diritto di manifestare liberamente il pensiero con la parola, lo scritto “e ogni altro mezzo di diffusione”. Esisterebbe, quindi, secondo alcuni esponenti del mondo web, una illimitata libertà, “in sintonia con lo spirito dell’articolo 21 della Costituzione”, che esclude dagli obblighi della legge n. 47/1948 “tutta” l’informazione telematica.

Questa suggestiva argomentazione nasconde un problema vecchio, che addirittura risale ai primissimi anni 70 e che è stato risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 2/1971. Allora il pretore di Catania sollevò una questione molto delicata, che riguardava i giornali politici, che, comunque, devono avere (accanto a un direttore responsabile non giornalista ma iscritto provvisoriamente all’Albo) un vicedirettore responsabile pubblicista o professionista (articolo 47 della legge n. 69/63). La sentenza supera il problema dell’articolo 21 in maniera razionale anche per quanto riguarda “una determinata categoria di periodici”, più precisamente di quei periodici che il pretore definisce “a carattere ideologico” e che sono editi e diretti dalla stessa persona.

Si legge nella motivazione della interessante sentenza: “1. – Ai sensi del terzo comma dell’art. 47 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 – nel testo quale risulta a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale pronunciata da questa Corte con sentenza n. 98 del 1968 (che riconosce i pubblicisti anche come direttori responsabili di quotidiani, ndr) -, la legittimità dell’affidamento della direzione di un giornale che sia organo di partiti o movimenti politici o di movimenti sindacali a persona non iscritta nell’albo dei giornalisti e l’iscrizione provvisoria del direttore nell’albo stesso vengono subordinate alla contemporanea nomina a vice direttore responsabile di un giornalista iscritto nell’elenco dei professionisti o dei pubblicisti.”

Questa disposizione, come risulta dalla complessa motivazione dell’ordinanza di rimessione, viene denunziata dal pretore di Catania, in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione, non nella sua interezza, ma solo nella parte in cui essa si riferisce ad “una determinata categoria di periodici”: più precisamente a quei periodici che il pretore definisce “a carattere ideologico” e che siano editi e diretti dalla stessa persona. Proprio in relazione a siffatta categoria verrebbero meno, ad avviso dei giudice a quo, quelle ragioni di giustificazione della legge che la Corte mise in luce nelle sentenze nn. 11 e 98 del 1968, sicché l’onere che la disposizione impugnata impone a chi voglia dar vita ad un periodico del tipo descritto si risolverebbe in una illegittima menomazione dei diritto di manifestare il proprio pensiero a mezzo della stampa (art. 21 Cost.) ed in una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): di quest’ultimo, si precisa, sotto il profilo della discriminazione, che a causa del peso economico di quell’onere si determinerebbe fra i soggetti, secondo che questi siano abbienti o non abbienti.

2. – Partendo dai principi enunciati dalla Corte nelle due precedenti decisioni – e che non vengono rimessi in discussione dall’attuale ordinanza, tutta motivata sulla peculiarità del particolare tipo di periodico in relazione al quale la questione viene proposta e delimitata – si deve escludere che la disposizione in esame comprometta la libertà riconosciuta e garantita dall’art. 21 della Costituzione.

Giova ricordare che nella sentenza n. 98 del 1968, in sede di valutazione della legittimità dell’obbligo di nominare il direttore ed il vice direttore responsabile dei comuni quotidiani e periodici fra gli iscritti nell’albo, la Corte affermò che la funzione dell’Ordine, già nella precedente decisione n. 11 riconosciuta positivamente apprezzabile proprio sul piano dell’art. 21 della Costituzione, sarebbe frustrata ove i poteri direttivi di un giornale potessero essere affidati ad un soggetto non iscritto in uno degli elenchi dei pubblicisti o dei professionisti. Ed è di particolare importanza che la questione, allora concernente l’art. 46 della legge, venne esaminata non solo con riferimento alla libertà del giornalista, ma anche sotto il diverso profilo della “libertà di chi voglia dar vita ad un giornale”.

Le stesse ragioni non possono non valere per l’art. 47 della legge – che stabilisce un regime di favore per una particolare categoria di giornali – e, più specificamente, per il caso ora prospettato dal pretore di Catania.


Deve esser tenuto presente, anzitutto, che l’obbligo della registrazione e la preventiva nomina di un vice direttore responsabile riguardano esclusivamente i giornali quotidiani o periodici (L. 8 febbraio 1948, n. 47), sicché la legge non pone ostacolo alcuno a che il soggetto manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri unici. Ché se, invece, l’interessato voglia dar vita ad un vero e proprio periodico, non è dato di vedere perché questo, a causa di particolari caratteristiche, possa sottrarsi ad una disciplina che è stata riconosciuta costituzionalmente valida per ogni tipo di giornale. Essendo del tutto evidente che, ai fini che qui interessano, nessun rilievo possono avere il cosiddetto contenuto ideologico del periodico e la finalità “di denuncia e di critica” che il soggetto si propone di perseguire, tutto si riduce a vedere se quando editore e direttore di uno dei giornali considerati dall’art. 47 si identificano nella stessa persona vengano a mancare quelle giustificazioni costituzionali che la Corte individuò nella precedente occasione.

Ma a siffatto quesito deve darsi risposta negativa sulla base della considerazione che l’esigenza della vigilanza dell’Ordine sussiste anche quando l’editore assuma la direzione del giornale e, trattandosi di periodico di partito o movimento politico o sindacale, acquisti perciò titolo all’iscrizione provvisoria nell’albo: essendo in questo caso la responsabilità sua limitata agli obblighi imposti dalle leggi civili e penali (art. 47, ultimo comma), occorre che egli sia affiancato da un giornalista che, iscritto nell’elenco dei professionisti o dei pubblicisti, risponda disciplinarmente “per eventuali comportamenti lesivi della dignità sua e dei giornalisti che da lui dipendono” (sent. n. 98 del 1968).

Peraltro la concentrazione nelle stesse mani del potere editoriale e del potere di direzione non vale ad escludere, certo, la necessità della vigilanza dell’Ordine, che non è predisposta, come mostra di ritenere il giudice a quo, a tutela della sola libertà dei singoli giornalisti, ma è strumento, sia pur mediato, di garanzia dell’interesse generale sottostante al diritto riconosciuto dall’art. 21 della Costituzione.

3. – La questione è infondata anche in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Conformemente ai principi desumibili dai precedenti giurisprudenziali di questa Corte, le norme che per lo svolgimento di determinate attività impongano oneri (direttamente o, come nel caso in esame, indirettamente) patrimoniali e che, nella loro applicazione, inevitabilmente comportano un peso maggiore o minore secondo le capacità economiche dei singoli soggetti, sono costituzionalmente illegittime, ove incidano sull’esercizio di diritti costituzionalmente protetti, solo allorché esse non siano rivolte alla tutela di interessi rilevanti sui piano costituzionale (tale, ad es., era il caso della c.d. cautio pro expensis, dichiarata illegittima con sent. n. 67 del 1960). Ora, nella specie, le ragioni che giustificano la disposizione in riferimento all’art. 21 della Costituzione dimostrano che l’obbligo di nominare un vice direttore responsabile fra gli iscritti nell’albo – e la cui osservanza può, certo, comportare un aggravio di spese – è strumento di salvaguardia di un interesse generale a rilievo costituzionale: di tal che la legge, imponendolo a chiunque voglia dar vita ad un giornale, non può essere considerata fonte di discriminazioni non consentite dall’art. 3 della Costituzione.
Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull'”ordinamento della professione di giornalista”, sollevata dall’ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione”.



I principi affermati dalla sentenza valgono anche per la stampa on-line. La Corte spiega in maniera ineccepibile il ruolo del direttore e dei Consigli dell’Ordine. La Corte risponde anche sul tema attuale dell’aggravio di spese. L’obbligo del direttore responsabile-giornalista è correlato al rispetto delle regole etiche della professione e alla vigilanza dell’Ordine sul rispetto delle regole medesime. Quando cadono queste regole, si scivola, come i fatti insegnano, nel campo delle violazioni penali.

L’Ordine, ente pubblico, ha la specifica competenza della tenuta dell’albo e dei giudizi disciplinari. Tali funzioni sono assegnate a tutela non degli interessi della categoria professionale ma della collettività nei confronti dei professionisti: questo principio è fissato nella sentenza n. 254/1999 del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana (magistratura equiparata al Consiglio di Stato). Molti sostengono, invece, che “gli Ordini hanno la finalità di tutelare (solo) gli interessi della categoria”. Ma non è così. Secondo il Consiglio della Giustizia amministrativa della regione siciliana, gli Ordini devono tutelare gli interessi dei clienti dei professionisti. “Le specifiche competenze della tenuta dell’albo, dei giudizi disciplinari, della redazione e della proposta della tariffa professionale nonché della liquidazione dei compensi – scrive il Cgars – sono assegnate dalla legge agli Ordini essenzialmente per la tutela della collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo giustifica l’obbligo dell’appartenenza all’Ordine, e non già per una tutela degli interessi della categoria professionale che farebbe degli Ordini un’abnorme figura d’associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa di interessi privati settoriali”.

Un concetto, questo, che prefigura un ruolo moderno degli Ordini non più intesi come corporazione ma come enti che concorrono ad attuare valori e finalità propri della Costituzione repubblicana (l’obbligo di garantire ai cittadini “una informazione corretta, imparziale, obiettiva e completa” come dice la sentenza n. 112/1993 della Consulta).

Nella sentenza 2/1971 la Corte costituzionale torna con forza sul ruolo dell’Ordine: “La vigilanza dell’Ordine non è predisposta a tutela della sola libertà dei singoli giornalisti, ma è strumento, sia pur mediato, di garanzia dell’interesse generale sottostante al diritto riconosciuto dall’articolo 21 della Costituzione…. l’obbligo di nominare un vicedirettore responsabile fra gli iscritti nell’albo [?] è strumento di salvaguardia di un interesse generale a rilievo costituzionale”.

L’interesse generale coincide con “il corretto svolgimento dell’importante attività della comunicazione multimediale” (sentenza n. 38/1997 della Corte costituzionale) e di questo interesse l’Ordine-giudice disciplinare è un pilastro fondamentale. Con le sentenze n. 71/1991 e n. 11/1968 la Corte costituzionale – chiamata a verificare se l’esistenza dell’Ordine professionale dei giornalisti fosse contrastante con l’articolo 21 della Costituzione – ha affermato che “non osta al principio della libera manifestazione del pensiero il fatto che i giornalisti siano così organizzati”, anche perché tale Ordine ha il “compito di salvaguardare, erga omnes e nell’interesse della collettività, la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti”.

Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

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Pubblicato il 17 lug 2001
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