Contrappunti/ Calamaio e mappa caratteri

Contrappunti/ Calamaio e mappa caratteri

di M. Mantellini - Non è fuori moda rivolgersi all'inchiostro per mettere nero su bianco i propri pensieri. Ma non è la tecnologia l'ostacolo al flusso del pensiero: quello corre libero, in prati di bit o di carta
di M. Mantellini - Non è fuori moda rivolgersi all'inchiostro per mettere nero su bianco i propri pensieri. Ma non è la tecnologia l'ostacolo al flusso del pensiero: quello corre libero, in prati di bit o di carta

Viviamo, senza troppo farci caso, un periodo di grandissima transizione tecnologica legata alle modalità di esposizione del pensiero. I segni di questo passaggio sono improvvisi e talvolta assolutamente non prevedibili. Gli ultimi cinquant’anni del secolo scorso per esempio potrebbero essere ricordati come quelli del trionfo della voce sul testo. La contemporanea esplosione sociale delle linee telefoniche domestiche, la nascita e la moltiplicazione dei canali televisivi e la impetuosa replicazione delle stazioni radiofoniche hanno guidato la società verso una grande coartazione della parola scritta, proprio nel momento del maggior allargamento degli orizzonti culturali fra le classi sociali.

In questo contesto è stata la scrittura a uscirne con le ossa rotte. Perché dovrei scrivere una lettera, ricopiarla in bella calligrafia, affrancarla ed imbucarla quando posso rapidamente sostituire questo macchinoso procedimento con una telefonata?

Dopo la graduale atrofia della parola scritta della seconda metà del secolo scorso forse in pochi avrebbero saputo prevedere che, a distanza di qualche anno, i due strumenti maggiormente utilizzati per comunicare, specie fra i più giovani, sarebbero stati entrambi strumenti violentemente testuali come gli SMS ed Internet.

Il ritorno alla parola scritta dei messaggini e delle mail ha generato talvolta fraintendimenti (plausibili fra persone ormai definitivamente abituate alle informazioni supplementari contenute nel tono della voce e nelle espressioni del viso), in certi casi ulteriormente complicati dall’uso di succedanei digitali come le “emoticons”, vere e proprie fonti di ambiguità interpretative e doppi sensi.

Abbiamo così assistito ad un rapido cambio di scenario anche nei meccanismi di composizione del testo stesso. Al posto della penna e della carta da lettere oggi ci cimentiamo con la tastiera minuscola del cellulare o con quella più confortevole dei computer. Sempre di parole scritte stiamo parlando, eppure il gesto che le compone è profondamente mutato. A ruota è venuto il linguaggio che, specie nei brevi messaggi di testo, ha subito i necessari adeguamenti del tipo “C6? TVTB”.

Forse anche per questa ragione qualche giorno fa Umberto Eco dalle pagine del Guardian suggeriva di mandare i figli a scuola di bella calligrafia. L’arte di scrivere – afferma Eco – ci insegna a controllare le nostre mani e incoraggia la coordinazione fra l’occhio e la mano.

È certamente possibile che sia così, non fosse altro per il fatto che dopo molti anni di ubiquitario utilizzo della tastiera, molti di voi come me avranno sperimentato la grande difficoltà nel tornare occasionalmente ad una scrittura a mano che riguardi un testo di un numero di righe superiore a due o tre. Sentiamo il peso di gesti non più usuali, piccoli tendini rispondono con ritardo, fastidiose e rapidissime artralgie ci raggiungono in un istante.

Il testo, contro ogni aspettativa, è tornato al centro del nostro universo comunicativo ma il mezzo di composizione non è più lo stesso.

Secondo Eco molti scrittori preferiscono scrivere a mano poiché la lentezza favorisce il pensiero e la meditazione sul testo, e già in questo è forse possibile leggere una velata critica alle accelerazioni dei tempi moderni. Per quello che conta la mia minima esperienza di scrittura in questi anni di sposalizio con la tastiera è esattamente di segno opposto.

Come a tutti mi capita talvolta di scrivere a mano, su fogli d’albergo o su piccole agendine seduto dove capita, e mai come in queste rare occasioni sento l’inadeguatezza di dover essere ancorato ad una penna e ad un foglio di carta.

Ci sono mille cose che fanno parte delle nostre più recenti abitudini che non si possono replicare su carta. Gesti quotidiani di composizione dei testi che basano sul taglia-incolla, sul trascinamento di un intero paragrafo o sul dominio del tasto “canc” non solo il superamento di una barbosità da amanuense ma anche la linearità del ragionamento stesso, la cui velocità ed eventuale profondità non è certamente figlia dei tempi tecnici dello sfregamento dell’inchiostro sul foglio di carta. Non è l’apologia della velocità che tutto travolge quella che può essere imputata al digitare su tastiera, tutt’altro.

Il trionfo della parola scritta è una delle grandi prerogative positive dello sviluppo delle reti. Comprendo l’infatuazione postuma per il pennino, l’inchiostro e la carta assorbente, ma non ha troppa importanza quali siano le modalità di composizione dei testi. Se il suggerimento di Umberto Eco (mandate i figli ad imparare la bella calligrafia) è un consiglio affascinante ed anche un po’ provocatorio, un punto di vista meno paradossale potrebbe essere quello di invitare i nostri figli ad avvicinarsi ad una tastiera.

Educarli alla comunicazione personale, alla esposizione di sé legata alla parola scritta, ai piaceri del confronto con i punti di vista altrui mediato dalla asincronia della comunicazione di rete dove, nella maggioranza dei casi, ciascuno di noi può permettersi il lusso di prendersi il proprio tempo per leggere, capire e rispondere, è oggi il tributo educativo migliore che possiamo far loro. Non potremo sbagliarci di troppo, almeno fino a quando l’alternativa sarà quella di lasciarli per ore a vegetare di fronte ad un televisore acceso.

Massimo Mantellini
Manteblog

Tutti gli editoriali di M.M. sono disponibili a questo indirizzo

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
28 set 2009
Link copiato negli appunti