Contrappunti/ Google e il rebus social

Contrappunti/ Google e il rebus social

di M. Mantellini - A Mountain View fanno fatica a interpretare il web che non sia search. E finiscono per sperimentare sulle caselle email, e sulla schiena, dei navigatori: con conseguenze discutibili
di M. Mantellini - A Mountain View fanno fatica a interpretare il web che non sia search. E finiscono per sperimentare sulle caselle email, e sulla schiena, dei navigatori: con conseguenze discutibili

Diciamo la verità: a Google con i social network non hanno mai avuto troppa fortuna. Da Orkut a Jaiku , fino al recentissimo Google Wave , progetti e acquisizioni varie nel campo delle reti sociali, dalle parti di Mountain View, quasi mai hanno raggiunto i risultati attesi. In particolare Wave, piattaforma collaborativa recentissima e già quasi dimenticata, ha collezionato delusioni in grande quantità da parte dei navigatori della Rete, incapaci di assegnarle per ora una qualche rilevanza di utilizzo.

Proprio dalle ceneri ancora calde di Wave ecco spuntare Google Buzz , piattaforma sociale leggera e innovativa dal nome discretamente brutto, che fa il verso ad altri aggregatori di lifestreaming come Friendfeed (società a sua volta fondata da alcuni ex creatori di Gmail e recentemente acquisita da Facebook).

Presentata in una diretta streaming su Youtube dai toni fantozziani (quattro nerd in maglietta d’ordinanza, Sergey Brin compreso, che parevano appena catapultati da The Big Bang Theory , sopra alti trespoli a rispondere alle domande dei giornalisti) Google Buzz ha mostrato immediatamente i suoi tanti difetti di gioventù. Il più serio di questi è il fatto di essere pensata come piattaforma profondamente integrata con Gmail. Fin da subito questa vicinanza, evidentemente percepita dai suoi creatori come un utile traino al prodotto, si è rivelata un vistoso errore di prospettiva.

In questi anni la vita sociale in Rete è andata frammentandosi in parti sempre più piccole. Gli strumenti di comunicazione si sono specializzati ed hanno provveduto a suddividere l’audience. La quota comunicativa che prima viaggiava dentro i software di messaggeria e i blog, uniche piattaforme disponibili fino a qualche anno fa, oggi segue percorsi meglio definiti, spesso intersecati fra loro, da Facebook a Twitter, dagli stessi blog agli altri aggregatori dei flussi di lifestreaming. E sebbene molte piattaforme consentano ed incoraggino il mashup fra dati originariamente depositati in ambiti differenti, di fatto la comunicazione di Rete, quella iperpersonale, così come quella più autenticamente informativa, si è andata scegliendo, con naturalezza, luoghi differenti di residenza: non tanto luoghi fisici univocamente identificabili, quanto luoghi sociali, decisi volta per volta dai singoli utilizzatori.

Per questa ragione avvicinare la posta elettronica di Gmail ad una piattaforma sociale come Buzz, incrociandone i contatti, è sembrata fin da subito una cattiva idea con conseguenze perfino peggiori.

Gli statunitensi devono avere un contro aperto con il concetto di privacy (si vedano alcune recenti idee di business come Beacon di Facebook), di sicuro si tratta di una delle loro ultime preoccupazioni: sta di fatto che gli aspetti peggiori di Buzz sono risultati assai evidenti nel giro di poche ore dalla sua comparsa online.

Per un paio di giorni qualsiasi estraneo ha potuto osservare quali sono i contatti della mia casella di posta, visto che i contatti di Buzz erano stati allegramente prelevati dalla lista dei contatti Gmail, quasi come se posta elettronica (magari quella che si utilizza per lavoro) e social network fossero mondi con ovvie sovrapposizioni.

Più che la curiosità di fidanzate sospettose, una simile colposa leggerezza – come scriveva il New York Times qualche giorno fa citando un pezzo di Evgeny Morozov su Foreing Policy – può essere stata utile per regimi e spioni vari: quale miglior metodo di Buzz per controllare quali fossero, per esempio, i contatti e gli amici di penna degli attivisti dei diritti civili?

Come spesso avviene la beta è perpetua (o quasi), ma la versione alpha dei software è invece velocissima e raffazzonata. E in tali condizioni viene data in pasto agli utenti, chiamati a sperimentare sulla propria pelle piccoli o grandi disservizi di piattaforme varie, nella certezza che saranno essi stessi a segnalare magagne e problemi.

Tutto piuttosto comodo (per le aziende) e pericoloso (per gli utenti), specie nel momento in cui uno strumento come Buzz raggiunge nel giro di poche ore, senza essere stato chiesto o preventivamente autorizzato, 176 milioni di persone in tutto il mondo.

Come era nelle attese Google ha poi rimediato gli errori più macroscopici del suo nuovo social network nel giro di pochissimo tempo, e oggi è possibile gestire con maggior facilità il proprio profilo e i soggetti che potranno accedere ai nostri dati. Tuttavia si tratta di un meccanismo di opt-out che resta brutto ed assai discutibile, visto che milioni di persone in tutto il mondo continueranno a non occuparsi delle proprie opzioni di privacy su Buzz raccontando le proprie abitudini di posta elettronica a ogni passante.

Perfino per la grande miopia dell’avvicinare eccessivamente strumenti socialmente lontanissimi come l’email e i social network forse ci sarà una futura soluzione: Buzz – si dice – potrebbe diventare presto una piattaforma autonoma, separata completamente da Gmail. Nel frattempo la serie negativa di Google con le reti sociali prosegue.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
15 feb 2010
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