Contrappunti/ Il diritto alla tecnologia

Contrappunti/ Il diritto alla tecnologia

di M. Mantellini - Ci serve tutto. Ci serve la connessione come un diritto. Ci serve il neoluddismo di chi crede che la tecnologia conduca all'inferno. E ci serve soprattutto il buon senso
di M. Mantellini - Ci serve tutto. Ci serve la connessione come un diritto. Ci serve il neoluddismo di chi crede che la tecnologia conduca all'inferno. E ci serve soprattutto il buon senso

Qualche eco ha sollevato nei giorni scorsi la sentenza di un giudice di pace triestino che ha riconosciuto un risarcimento di 800 euro per “danno esistenziale” ad una casalinga ed ai suoi tre figli i quali, per un disservizio dell’operatore telefonico, sono rimati oltre 4 mesi senza connessione ad Internet. “Danno esistenziale” è certamente un concetto quasi metafisico quindi non discuterò nemmeno un istante se lo stress di un quadrimestre disconnessa valga per la signora, i cui figli in quel lungo periodo non hanno potuto utilizzare Internet per studiare, più o meno di 800 euro.

Piuttosto è interessante notare che il riconoscimento di una simile esigenza, quella di non essere disconnessi, di non subire una sorta di “diseguaglianza digitale” come l’avvocato Giuseppe Russo difensore della signora sostiene, è un concetto molto vago del quale si è comunque molto discusso negli ultimi anni. Abbiamo “diritto” alla Rete anche fuori dalle norme che regolano i nostri rapporti commerciali con un fornitore di connettività? Ne abbiamo diritto “a prescindere”, indipendentemente dal fornitore, come sostengono alcuni, oppure la sentenza di Trieste è un semplice parafulmine nel quale Internet viene utilizzata per fini risarcitori differenti, appellandosi all’impossibilità, per colpa della mancata connessione, di esercitare altri diritti, questi sì consolidati, come per esempio il diritto allo studio?

A far da contraltare a questa piccolo sferzata di tecnoeuforia in salsa legale ci pensa un bell’articolo uscito su Avvenire a proposito di iPhone 5. Prendendo spunto dalla presentazione del nuovo amuleto Apple, il quotidiano dei Vescovi ci ammonisce sui rischi di un eccesso di fideismo tecnologico. Chiara Giaccardi lo scrive molto bene:

Una seconda considerazione è più antropologica: dispositivi come il nuovo iPhone sembrano realizzare il sogno prometeico di un controllo della realtà attraverso la tecnologia. E, in un mondo il cui il “pensiero” dominante tende a rifiutare la religione in nome della ragione, paradossalmente riaccendono la fiducia nella magia: come la bacchetta magica (un tipico dispositivo touch, estensione del braccio umano) era in grado di produrre immediatamente apparizioni, trasformazioni, eliminazioni, così lo smartphone, protesi ubiqua e sempre attiva, sempre più leggera, maneggevole (anzi, user friendly) e quasi trasparente ci consente, secondo la definizione di magia formulata dal celebre antropologo Marcel Mauss, di «azzerare l’intervallo tra desiderio e realizzazione»: le cose che desideriamo succedono immediatamente, basta un tocco (e la app giusta).

Esiste un pensiero dominante, sostiene Giaccardi, secondo il quale la tecnologia si trasforma in bacchetta magica attraverso la quale tutto diventa possibile, oppure così noi ci illudiamo che sia. Prometeo, con iPhone 5 in mano, crede infine di poter sfidare gli Dei, tranne poi – sembra suggerirci Avvenire – doversi adattare alla sua fine nota. Chissà cosa sarebbe successo se gli echi di una simile sfrontatezza avessero raggiunto il giudice di pace triestino, perché davvero il tema centrale del “danno esistenziale” subito dalla famiglia senza ADSL è quello “dell’azzeramento dell’intervallo fra desiderio e realizzazione”. Tra la leggera ed elegante tecnofobia di Avvenire e la verve entusiastica del refrain su Internet come diritto costituzionale ci sarebbe, come la solito, una possibile terra di mezzo. Un luogo nel quale, per esempio, il down di un servizio lede unicamente condizioni contrattuali e nessun’altra prerogativa legata al nostro essere cittadini con diritto di voto.

Non esiste un mondo a misura di app per iPhone (e tantomeno esiste un “razzismo tecnologico” che separa chi può permettersi un iPhone da chi deve accontentarsi di terminali più economici – questa davvero sì, nel pezzo di Avvenire , una vera sciocchezza) ma non esiste nemmeno un diritto innato all’essere collegati alla Rete in quanto essere umani.

Abbiamo bisogno di tutto, come ai tempi di Prometeo e del suo fuocherello (a proposito, mille ringraziamenti), ci servono tecnologie magiche e connessioni a Internet, copia-incolla da Wikipedia per i nostri figli e biblioteche silenziose con i libri di carta. Ci fanno comodo i WiFi comunali, quando e dove ci sono, magari senza caricarli di quella insopportabile retorica italiana sui diritti belli dei cittadini connessi e abbiamo bisogno, soprattutto, di banda larga a casa, che funzioni, anche se, per scelta o casualità, abitiamo in cima a un monte. Poi ci servono anche giudici di pace che ci diano spunto per discutere di quanto valga il nostro diritto ad essere connessi e persino di quotidiani come Avvenire che ci ricordino i grandi pregi del mondo analogico e le diaboliche insidie della tecnologia, con o senza la quale, prima o poi, dovremo comunque morire. Possibilmente dotati di banda abbastanza larga, anzi larghissima.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
17 set 2012
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