Contrappunti/ Online la grande caccia al gratis

Contrappunti/ Online la grande caccia al gratis

di Massimo Mantellini. C'è chi cerca di scaricare i bilanci in rosso delle proprie attività Internet sugli utenti, ma questi non glielo permetteranno. Eppure la fine del gratis online oggi appare una strada senza ritorno
di Massimo Mantellini. C'è chi cerca di scaricare i bilanci in rosso delle proprie attività Internet sugli utenti, ma questi non glielo permetteranno. Eppure la fine del gratis online oggi appare una strada senza ritorno


Roma – Esiste oggi sulla rete italiana una nuova priorità. Quella di difendere il concetto di gratuito. Che è – chiariamolo subito – cosa differente dal voler salvaguardare il proprio presunto diritto ad ottenere servizi e contenuti senza pagarli.

Gratis è una parola magica in grado di spostare le montagne. E ‘ notizia di questi giorni che la FTC (Federal Trade Commission) statunitense, organismo di controllo molto temuto e incisivo, abbia condannato una serie di aziende produttrici di device per la wireless internet (Microsoft e Hewlett Packard) e alcuni ISP (Juno e Gateway) per aver abusato del termine “free” nei loro messaggi pubblicitari. A differenza di quanto accade da noi le aziende in questione non sono state costrette a pagare simboliche multe allo Stato (magari poi annullabili dal TAR di turno) ma, più pragmaticamente, hanno dovuto rifondere singolarmente i consumatori ingannati dalle promesse di gratuità non mantenute.

Sempre in questi giorni CWW-Affari Italiani ha proposto ai propri lettori un interessante sondaggio per indagare la disponibilità a pagare i contenuti oggi liberamente fruibili in rete, come quelli dello stesso CWW, di Clarence o di Punto Informatico. Sebbene abbia forti dubbi sulle indicazioni che tale indagine può dare (le percentuali sono oscillate vigorosamente in questi giorni), trovo che la questione venga posta nei termini corretti. Che, dal mio punto di vista, sono strettamente economici e si riducono alla valutazione del “cosa” in cambio di “quanto”.

“Cosa” in cambio di “quanto” è solo apparentemente un concetto banale: se così non fosse nessuno sarebbe oggi così folle da pensare di vendere suonerie per cellulari attraverso Internet o di offrire improvvisamente SMS gratuiti alla stregua di pepite d’oro. Non esiste miglior segnale della confusione intellettuale che da alcuni mesi a questa parte ha travolto gli ideologi del commercio online che non osservare le scelte intraprese.

Come balena decisa contro ogni apparente logica a spiaggiare da qualche parte pur di suicidarsi, la grande industria editoriale, dell’intrattenimento e del commercio elettronico ha fino a poco tempo fa cavalcato la tigre del semplice ritorno azionario delle proprie iniziative Internet: soldi dagli investitori in cambio di progetti fantasiosi quando non totalmente assenti. Sull’onda di certe schizofrenie d’oltreoceano dove “prima” le start up raccoglievano i soldi e “poi” pensavano come avrebbero potuto utilizzarli, anche da noi decine di progetti assurdi sono stati finanziati e messi ai nastri di partenza.

E comunque, anche lasciando perdere gli eccessi, il problema generale appare oggi lontanissimo da una soluzione. Prendete per esempio l’m-commerce. Oggi qualcuno ha ancora il coraggio di stupirsi dei dati clamorosi che AT Kearney ha pubblicato sulle prospettive del commercio mobile via cellulare? “Un brusco risveglio per i sognatori del Wap”, questo è il titolo della approfondita ricerca della società inglese. Sapete quante persone in tutto il mondo desiderano oggi utilizzare un cellulare per fare acquisti online secondo AT Kearney? Il 12%. Un anno fa erano più del doppio. Più che un brusco risveglio sembra un incubo per quanti hanno creduto nell’m-commerce investendo migliaia di miliardi fra 2G, 2,5G, 3G e robe simili.

Ma è proprio questo il punto: era così complicato capire che fare acquisti dall’auto, o da una panchina ai giardini è una cosa discretamente demenziale e non potrà mai interessare larghi strati di utenti (giàdel resto oggi molto poco propensi anche nei confronti del commercio elettronico da postazioni fisse)? Possibile che nessuno ci abbia pensato in tempo?

Quando scrivevo queste cose più di un anno fa il direttore generale di uno dei consorzi in gara per una licenza UMTS mi scrisse che le mie posizioni parevano a lui e alla frotta di “tecnologi” che la sua compagnia pagava, del tutto fuori da ogni logica: i dati in loro possesso dicevano meraviglie dell’m-commerce e degli sviluppi della rete UMTS. E in Italia basandosi su tali evidenze ministri ed esperti si sbilanciavano allora sul gap che l’avvento delle reti mobili di terza generazione avrebbe finalmente eliminato fra l’Italia e gli altri paesi tecnologicamente avanzati.

Beato chi ci credeva allora, beati i lettori di statistiche senza fantasia. Oggi è assai più facile salire sul carro dei dubbiosi visto che i numeri seppur in ritardo restituiscono quello che il buonsenso avrebbe potuto dirci già molto tempo fa e cioè che se la tecnologia serve a fare cose stupide difficilmente avrà successo. Anche se a questa affermazione esistono alcune rispettabili eccezioni.

Per tornare al discorso iniziale, la tendenza che va consolidandosi è quella del passaggio da una gratuità selvaggia e ipertrofica ad una ossessiva valutazione dei contenuti offerti e del loro costo per l’utente. Seguendo l’orientamento dominante anche in questo caso il buonsenso sembra essere precipitato in cantina.

Se fino a ieri passando dal mio giardino ti consentivo di raccogliere liberamente tutte le rose che eri in grado di portare a casa sappi che da oggi ti chiederò un pedaggio per ogni singolo petalo: questo sembra essere il messaggio che tante imprese-internet trasmettono ai navigatori della rete per il prossimo futuro e non mi meraviglia che l’effetto ottenuto sia quello di un vistoso disorientamento.

In realtà gli utenti hanno solo bisogno di abituarsi gradualmente ad una Internet differente che, per quanto attiene il “cosa” in cambio di “quanto”, assomigli di più al mondo che frequentano ogni giorno nella vita “reale”. Ma il disorientamento dei grandi investitori (che hanno speso soldi a palate ed ora vorrebbero “rientrare”) ha invece molte giustificazioni in meno: i bilanci in rosso non possono essere scaricati sugli utenti non foss’altro perchè questi non sono così stupidi da consentirlo. Eppure oggi sono in tanti a provarci.

Resta ancora l’incognita di cosa davvero possa essere venduto attraverso la rete Internet. La connettività sicuramente, poiche essa è la base di una ampia serie di attività (molte delle quali no-commerce) per le quali chiunque di noi è disposto a pagare un prezzo. Ma oltre a quella? La musica, il software, il cinema?

A cosa potrà servire il broadband? A mostrarci pubblicità in streaming invece che su banner statici? A riprodurre via Internet il telegionale di Mentana? Cosa vogliono gli utenti? Nessuno oggi sembra in grado di immaginarlo. Per ora l’utilizzo della larga banda va ad ingrossare le fila dei sistemi di file sharing e questo, per quanti stanno cercando di far quadrare i conti dei propri investimenti commerciali su Internet, non è una buona notizia.

E nemmeno i numeri, le ricerche e le previsioni per il futuro, sembrano confortare più di tanto. Esiste una diffusa difficoltà in tempi tanto accelerati e confusi ad immaginare cosa accadrà anche nel breve periodo. Ormai le analisi delle grandi società di ricerca non fanno molto di più che descrivere il presente, costringendo un po ‘ tutti, dalle grandi aziende alle piccole startup ad una navigazione a lume di naso. Nemmeno questa sembra essere una buona notizia e i risultati sono sotto i nostri occchi.

Massimo Mantellini

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Pubblicato il
21 mag 2001
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