Cookie, indigesti ai minori

Cookie, indigesti ai minori

Sotto accusa colossi dei media come Disney e Warner. I cookie zombie non risparmiano i minori, consentono di mappare le loro abitudini. E continuano a non morire
Sotto accusa colossi dei media come Disney e Warner. I cookie zombie non risparmiano i minori, consentono di mappare le loro abitudini. E continuano a non morire

Consentono di elaborare una mappa delle abitudini, degli interessi, delle caratteristiche di un cittadino della rete, permettono di associare informazioni rastrellate mentre l’individuo zigzaga online su uno dei siti partner delle aziende che li somministrano fino a creare profili dettagliati. I cookie di Flash sono al centro di una seconda causa statunitense: a doversi difendere dalle accuse di un nugolo di genitori di minorenni, colossi del calibro di Disney e Warner, che si appoggiano ai servizi di advertising basati su widget di Clearspring Technologies .

Sfuggono al controllo degli utenti, restituiscono vita ai cookie cancellati in precedenza per continuare a tracciare: che si tratti o meno di una caratteristica accidentale , il tracciamento non si arresta con l’immediatezza dell’ordinaria procedura mediata dal menù del browser. E coinvolge informazioni che ricadono nella sfera dei dati sensibili, senza risparmiare i più piccoli. Per questo motivo due studi legali, Parisi & Havens e Joseph Malley, hanno esteso il loro raggio di azione spinti dalla denuncia di un gruppo di famiglie statunitensi: alla prima accusa , rivolta contro Quantacast e depositata nelle scorse settimane, si è aggiunto un secondo procedimento contro Clearspring, un altro grande operatore del settore, e i suoi clienti. Fra i siti che impiegano il servizio, quelli di Disney e Warner, meta di minori e non: stando a quanto descritto nel documento depositato presso la Corte Distrettuale del Central District of California, Clearspring inietta nelle macchine di coloro che visitano i siti dei suoi affiliati “strumenti di tracciamento online che permettono di accedere e mostrare le attività online degli utenti di Internet”.

Strumenti che permetterebbero, spiegano gli avvocati nel documento, di ricostruire i tracciati compiuti in rete degli utenti, da qualsiasi postazione di colleghino. E non si tratta solo delle preferenze con cui si è soliti fruire di video: consentirebbero di costruire la storia del singolo consumatore online, di quello che acquista, di quello che vede, di quello che legge, dati che se aggregati consegnano nelle mani di chi fosse interessato un profilo abbastanza realistico relativo ad aspetti della vita quali le condizioni di salute, l’orientamento politico o sessuale. Ad essere coinvolte, anche informazioni precise come indirizzo, email e numero di telefono consegnati dai netizen a siti che li richiedessero, dati su età e sesso, sul livello di istruzione e di reddito.

La denuncia? Clearspring e i suoi affiliati agirebbero in violazione del Computer Fraud and Abuse Act , la legge statunitense che vigila sulle intrusioni informatiche, delle sezioni del Codice Penale della California che si occupano di reati mediati dalla tecnologia e di sconfinamenti nella sfera privata . L’accusa, come nel caso del procedimento contro Quantcast, cerca di ottenere lo status di class action e un risarcimento non ancora fissato.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
16 ago 2010
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