Due anni al cracker di Playboy

Due anni al cracker di Playboy

Voleva far credere di essere entrato nella rete della celebre casa editrice e di avere catturato tutti i dati dei suoi clienti. Il suo bluff non ha funzionato
Voleva far credere di essere entrato nella rete della celebre casa editrice e di avere catturato tutti i dati dei suoi clienti. Il suo bluff non ha funzionato


Londra – Era il novembre del 2001 quando Playboy.com , la più celebre delle editrici dell’erotismo, dovette ammettere l’incursione di un cracker nel proprio database-clienti, un evento che ha senz’altro contribuito a minare la fiducia di alcuni sulla sicurezza dell’uso delle carte di credito online. Ma due giorni fa l’uomo che ha effettuato quella incursione, arrestato qualche tempo dopo, è stato condannato a due anni di galera .

Il 25enne Simon Jones, commesso in un supermercato londinese, era stato individuato grazie ad una operazione alla quale hanno partecipato cybercop inglesi ed americani . Identificato, pochi mesi dopo l’incursione è stato arrestato nella sua casa di Southampton.

Stando a quanto riferito dalla polizia britannica, Jones si era impossessato di un certo numero di dati personali dei clienti di Playboy e aveva utilizzato quelle informazioni per far credere all’azienda di essere in possesso dei dati di tutti i clienti della società . In questo modo Jones sperava di poter ricattare l’azienda. Da lì in poi si è però comportato ingenuamente, accettando un primo pagamento di sole 60 sterline affinché non rendesse pubblici i dati di due clienti e versando quei soldi sul proprio conto bancario. Da lì alla sua individuazione sono passate poche settimane. Si è anche accertato che il “cracker” si era impossessato soltanto di alcuni account di una manciata di utenti.

Jones ha dunque patteggiato ammettendo la propria colpevolezza e il giudice ha applicato una sanzione che poteva essere ben più elevata, spiegando che la sua “è stata una incursione pianificata. L’email inviata a Playboy afferma che il movente era estorcere denaro”. Al contrario la difesa di Jones aveva puntato sulla tesi della “sfida” che avrebbe condotto Jones in un gioco pericoloso.

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Pubblicato il 30 giu 2004
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