Gli utenti P2P comprano più CD

Gli utenti P2P comprano più CD

Non lo dicono i produttori di software di sharing, lo dice uno studio governativo canadese: checché ne pensino, non è vero che il file sharing danneggia le major
Non lo dicono i produttori di software di sharing, lo dice uno studio governativo canadese: checché ne pensino, non è vero che il file sharing danneggia le major

I danni del P2P stimati dall’industria in miliardi di dollari all’anno sono solo propaganda? È questa la considerazione più immediata che si potrebbe ricavare dalla lettura di The Impact of Music Downloads and P2P File-Sharing on the Purchase of Music: A Study For Industry Canada , indagine conoscitiva condotta sul territorio al di là del lago Ontario che vuole essere un parere autorevole e indipendente sulla perdurante questione della condivisione dei contenuti additata come pirateria , sui suoi reali effetti di mercato e su come essa modifichi – se le modifica – le abitudini di acquisto dei consumatori.

L’indagine nasce dalla collaborazione tra due professori dell’Università di Londra, Industry Canada e la società demoscopica Decima Research , fondata nel 1979 dallo stratega del Partito Conservatore Progressista del Canada Allan Gregg. Decima ha intervistato oltre 2.000 cittadini canadesi su argomenti quali appunto le abitudini di download e acquisto di contenuti musicali, siano essi autorizzati o meno .

Le principali conclusioni a cui sono pervenuti i ricercatori, delle quali dà notizia fra gli altri l’esperto canadese Michael Geist , stabiliscono quanto segue: nel valutare la popolazione che fa uso di P2P è stato individuato “un rapporto fortemente positivo tra il file sharing e l’acquisto di CD”. In sostanza chi scarica è anche maggiormente propenso a spendere soldi per i dischi originali , nella misura stimata di 0,44 CD all’anno per un download mensile.

Inoltre, quando si sommano la popolazione dei downloader e quella dei cittadini non-condivisori si ottiene una somma sostanzialmente nulla, non essendoci dunque alcuna correlazione diretta tra il file sharing e il mercato musicale tradizionale . O per dirla con le parole dei ricercatori, “l’analisi dell’intera popolazione canadese non rivela alcuna relazione, positiva o negativa che sia, tra il numero di file scaricati dai network di P2P e i CD acquistati”. Insomma, nessuna prova diretta che suggerisca un effetto di qualsiasi tipo della condivisione illegale dei contenuti sul mercato legittimo dei suddetti, per lo meno in Canada.

Lo studio, come suggerisce e sottolinea Geist, non è stato condotto per il volere di qualche particolare sponsor e quindi non ha alcuna causa di parte da perorare, sia in seno all’industria multimediale che fuori: Industry Canada, la commissione governativa indipendente che lo ha commissionato, intendeva solo raccogliere dati quanto più oggettivi è possibile in vista di decisioni politiche future sull’argomento.

E, a parere degli autori, The Impact of Music Downloads raccoglie informazioni empiriche come mai prima, informazioni individuate nell’ambito del file sharing impiegando per la prima volta dati macroeconomici rappresentativi nell’indagine conoscitiva.

Oltre a trarre le conclusioni di cui sopra, poi, lo studio prende in considerazione un nugolo di questioni frequentemente discusse quando si parla di P2P, come la correlazione – inesistente – tra i download non autorizzati e quelli legali da store come iTunes, il prezzo dei CD e le entrate domestiche che non hanno sostanzialmente impatto sugli acquisti dei supporti , l’effetto nullo degli acquisti digitali su quelli fisici e ancora il numero superiore di dischi acquistati da chi già spende già molto in altre forme di intrattenimento come DVD, cinema e videogame.

Lo studio è secondo Geist un “must-read”, poiché sebbene risulti “duro” per i non economisti è l’ennesima, autorevole conferma del fatto “che l’industria ha beneficiato dal P2P e che non esiste alcuna emergenza che necessiti di interventi legislativi speciali”. Ed è un messaggio probabilmente diretto non solo alle associazioni del copyright canadesi ma anche alla statunitense RIAA , che ha fatto dei presunti danni del file sharing alle vite di lavoratori e major uno dei suoi più rilucenti vessilli identificativi .

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 5 nov 2007
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