Google, vittoria contro gli abusi del marchio

Google, vittoria contro gli abusi del marchio

1,6 milioni di dollari di danni riconosciuti a Google per l'utilizzo improprio del suo nome. L'Europa, intanto, cerca ancora di chiarire le regole in materia
1,6 milioni di dollari di danni riconosciuti a Google per l'utilizzo improprio del suo nome. L'Europa, intanto, cerca ancora di chiarire le regole in materia

“Soldi facili con Google” era la promesse con cui i gestori di alcuni siti cercavano di attirare i netizen nella propria rete: ma alla fine i “soldi facili” sono stati per Big G, che si è vista dare ragione e riconoscere, in base ad un accordo, 1,6 milioni di dollari di danni.

Mountain View aveva denunciato nel dicembre 2009 una serie di scammer (una cinquantina di imputati) accomunati dalla stessa pratica: offerte di soldi facili in cui veniva citata Google e promesso di poter guadagnare semplicemente utilizzando il suo servizio AdWords. Il primo giugno 2010 aveva ottenuto un’ingiunzione permanente nei confronti di uno degli imputati, Pacific WebWorks, ed esteso la denuncia anche a Bloosky.com.

Oggi quest’ultimo, in base all’accordo raggiunto con Mountain View, sarà costretto a risarcire Google e interrompere il comportamento fraudolento insieme a Just Think Media, Crush, Hyper Interactive, Viable, and Search 4 Profit. Le aziende accettano di non utilizzare più il marchio Google, ma non ammettono le proprie eventuali colpe.

Proprio a proposito dell’ utilizzo dei nomi di altre aziende nell’advertising , un avvocato generale della Corte di Giustizia europea ha raccomandato una sentenza negativa nei confronti di Marks&Spencer per aver utilizzando il marchio Interflora come parola chiave nelle proprie pubblicità online.

L’Avvocato Generale ha riferito che si tratterebbe di una decisione limitata al caso specifico.
Quando in Europa era stata la stessa Google a difendere la possibilità di utilizzare marchi altrui come parole chiavi nelle proprie inserzioni, la sentenza era stata contraria al detentore della proprietà intellettuale “se l’advertising non confonde l’utente circa la reale appartenenza del marchio o del prodotto venduto”.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
28 mar 2011
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