Il DRM nelle università USA non è un pericolo

Il DRM nelle università USA non è un pericolo

Se ne continua a parlare. E se Wired non ci vede nulla di pericoloso, i consulenti legali dell'industria la trovano una cosa del tutto legittima. Blindare tutto fa bene
Se ne continua a parlare. E se Wired non ci vede nulla di pericoloso, i consulenti legali dell'industria la trovano una cosa del tutto legittima. Blindare tutto fa bene

Il malloppone di quasi 800 pagine che si prefigge la modifica della legge sull’educazione universitaria USA, che tanto rumore ha generato sul web e nella blogsfera per via di presunti obblighi da parte degli atenei di vigilare sulle abitudini di file sharing degli studenti, non contiene affatto imposizioni di qualsivoglia natura che ridurrebbero i fondi statali in caso di mancata sorveglianza. E se pure tali obblighi ci fossero, come desidererebbe ardentemente l’intera industria multimediale, sarebbe un fatto del tutto legittimo.

Il clamore e il pericolo denunciato in lungo e in largo andrebbero dunque ridimensionati? Assolutamente sì per Wired : secondo quanto riporta , in nessuna delle 747 pagine della proposta sarebbero indicati obblighi connessi ai sovvenzionamenti pubblici dei piani di studio. La legge chiede alle università soltanto di sviluppare, “per quanto possibile”, “un piano per offrire alternative al download illegale e alla distribuzione di proprietà intellettuale sul P2P, così come un piano per esplorare deterrenti tecnologici dedicati alla prevenzione di tali attività illegali”.

Le conseguenze della mancata osservanza degli inviti suddetti non vengono specificate , e gli allarmi lanciati dagli universitari circa la riduzione dei fondi per gli istituti educativi non avrebbero ragion d’essere, sostiene Wired. La legge “College Opportunity and Affordability Act of 2007” ha attualmente passato il vaglio di un comitato istituito presso la Camera dei Rappresentati, ed è in attesa di una lettura da parte dell’intero Congresso prevista per gli inizi di dicembre.

A leggere in maniera diversa la proposta è inoltre Fritz Attaway, consulente generale per la MPAA , che in un giro di vite sul file sharing dei campus non ci vedrebbe nulla di male o di problematico . “Quando il governo sovvenziona le università – sostiene Attaway – e si accorge che tali università stanno spendendo molto denaro dei contribuenti per sviluppare network digitali usati prevalentemente per il traffico di contenuti illegali, io credo sia perfettamente legittimo per il Congresso dire: aspetta un minuto, se noi vi stiamo dando i soldi, non vogliamo che li usiate per aiutare i ragazzi del college ad infrangere il copyright”.

Per MPAA non esiste nella legge alcun vincolo tecnico che obblighi gli atenei a sottoscrivere abbonamenti con servizi di download digitale autorizzati, sul genere di Napster o Ruckus.com. E anche se la potente organizzazione degli studios hollywoodiani lo vorrebbe non poco, i fondi statali non sono in alcun modo connessi alle iniziative di contrasto al file sharing illegale in cui si vogliono coinvolgere direttamente gli istituti.

Tanto rumore per nulla dunque? Forse, ma c’è chi un rischio nella legge ce lo vede comunque . È Gigi Sohn, presidente dell’associazione pro-diritti digitali Public Knowledge . “Perché inserire nelle leggi delle cose che, in un secondo tempo, potrebbero essere agevolmente rafforzate?”, si domanda Sohn. “Persino se io fossi d’accordo, e non lo sono, nell’affermare che il disegno di legge è senza denti – conclude poi Sohn – non voglio che ci sia dentro quel tipo di linguaggio a cui il Congresso potrebbe benissimo fornire la dentiera”.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
22 nov 2007
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