John Knoll, Photoshop ed effetti speciali

John Knoll, Photoshop ed effetti speciali

Il padre del programma che ha democratizzato la grafica racconta come Photoshop sia un mezzo per farci diventare quello che vogliamo diventare. E come il mondo degli effetti speciali troverà nuove strade. Un'intervista di Gabriele Niola
Il padre del programma che ha democratizzato la grafica racconta come Photoshop sia un mezzo per farci diventare quello che vogliamo diventare. E come il mondo degli effetti speciali troverà nuove strade. Un'intervista di Gabriele Niola

Lavorava ad Industrial Light & Magic da anni, ma solo nel 1988, due anni dopo che la società aveva venduto a Steve Jobs la sua parte dedicata alla computer grafica (che poi con Jobs sarebbe stata ribattezzata Pixar), John Knoll propose ad Adobe di finanziare e distribuire un programma di grafica messo a punto con suo fratello Thomas (che l’aveva anche ideato): Photoshop.
Nonostante tutto, Knoll è rimasto a ILM, lavorando come creativo e designer per alcuni degli effetti speciali più rivoluzionari di sempre (solo WETA è riuscita in tempi recenti a fare qualche passo in avanti paragonabile a quello che ILM ha raggiunto nei decenni). Oggi John Knoll è CCO (chief creative officer) di ILM, al momento al lavoro sugli effetti di Noah (di Darren Aronofsky), Captain America 2, Tomorrowland (di Brad Bird), Transformers 4, Unbroken (di Angelina Jolie scritto dai fratelli Coen), il film di World of Warcraft e infine la preproduzione di Star Wars VII.

Punto Informatico: Photoshop ha rappresentato uno spartiacque nella storia della grafica. Come è evoluto negli anni?
John Knoll: Photoshop per me è come un figlio creato da me e mio fratello in totale autonomia, in seguito un team sempre più grande lo ha aiutato a crescere. Quando io l’ho lasciato ci lavoravano 100 persone e aveva già una community vastissima di utilizzatori in tutto il mondo, ma io preferivo continuare a fare effetti visivi. Ora è un bambino che è cresciuto e si è fatto una sua carriera e una sua vita, ne sono orgogliosissimo.


PI: Quel progetto cambiò la sua carriera?
J.K.: Sì, all’epoca ad ILM lavoravo nel camera department e chiaramente fui spostato nel reparto graphics , che è quello che negli anni è cresciuto maggiormente, anche se all’epoca facevamo solo pubblicità.

PI: Immagino sia ben conscio di come Photoshop non è stato solo un programma decisivo per l’avanzamento nel lavoro di grafica ma anche un tassello fondamentale nel processo di democratizzazione dei mezzi di produzione. Assieme agli equivalenti per l’elaborazione musicale e di immagini in movimento contribuisce tutt’ora a fornire anche agli amatori il medesimo strumento di lavoro dei professionisti. Immagino all’epoca la cosa non fosse prevista…
J.K.: No, però anche all’epoca credevo come credo oggi nel processo di democratizzazione della tecnologia digitale, e Photoshop ha avuto la potenza di dare a tutti uno mezzo per realizzare quello che vogliamo realizzare e diventare quello che vogliamo diventare. Non amo quando le barriere economiche impediscono alla gente di esprimersi.

PI: Ad oggi il lavoro sul fotorealismo delle immagini digitali è arrivato ai livelli che si sognavano all’inizio, cioè all’indistinguibilità dalla realtà (Gravity ne è l’esempio perfetto), dunque ora cosa ci aspetta? Qual è la frontiera successiva?
J.K.: In realtà il fotorealismo è stato raggiunto parzialmente, penso possa migliorare perché è ancora una questione di avere il tempo necessario, gli artisti necessari e i soldi necessari. Anche in Gravity del resto ci sono dei momenti che non sono perfetti.

PI: È vero, tuttavia possiamo dire di aver raggiunto quel risultato, anche se ancora in pochi casi. Qual è invece il prossimo? Dopo aver ricostruito le cose come sono nella realtà e dopo aver trovato anche un modo di dargli i movimenti dei veri attori con il motion capture, che ci resta?
J.K.: È difficile dire cosa verrà, soprattutto perché non siamo noi a deciderlo. È un falso mito che ci sia una forma di ricerca indipendente dalle necessità, è semmai vero il contrario: l’innovazione arriva di solito con uno script cioè con un’esigenza di fare qualcosa che al momento non si può fare. In sostanza la prossima frontiera arriverà con la risposta a: “Come possiamo far questo?”. Qualcuno trova quella risposta e a quel punto la soluzione elaborata potrà avere effetti devastanti, aprendo nuove strade.

A cura di Gabriele Niola
Il blog di G.N.

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Pubblicato il 16 ott 2013
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