Lavabit, alla difesa!

Lavabit, alla difesa!

Il servizio di email private che ha scelto la chiusura pur di non consegnare le chiavi di cifratura, si difende in tribunale. L'intento è nobile, l'impresa disperata
Il servizio di email private che ha scelto la chiusura pur di non consegnare le chiavi di cifratura, si difende in tribunale. L'intento è nobile, l'impresa disperata

Si è strenuamente opposto alla consegna delle informazioni che rendono il servizio non intercettabile, ha difeso i suoi utenti e l’obiettivo delle indagini delle autorità fino alla capitolazione: ora Ladar Levison ha presentato l’appello contro la richiesta del governo statunitense per garantire la riservatezza delle comunicazioni scambiate per mezzo del fu Lavabit .

Il caso, mosso dalle ingiunzioni del governo statunitense per ottenere i dati di un misterioso utente Lavabit che con ogni probabilità si identifica nella persona di Edward Snowden , si è dipanato nel corso dei mesi: prima una richiesta di ottenere i metadati relativi allo specifico account, poi la richiesta di intercettarne tutte le comunicazioni in tempo reale con un cosiddetto “pen register order”, poi con un mandato per ottenere la chiave SSL che avrebbe consentito alle autorità di decifrare, insieme alle comunicazioni del sospetto, tutto il traffico email di tutti gli utenti del servizio . Levison ha scelto di interrompere le attività di Lavabit, ha tentato l’ostruzionismo consegnando la chiave privata in formato cartaceo, inutilizzabile dall’FBI. Nonostante la chiusura del servizio, sul suo capo pende ancora l’accusa di inadempienza che potrebbe condurlo in carcere, oltre ad una sanzione che cresce di giorno in giorno: per questo motivo ha giocato la carta dell’appello.

Levison, supportato da migliaia di netizen, ha innestato la propria difesa illustrando le motivazioni che lo spingono ad opporsi alle richieste di intercettazione. In primo luogo, il cosiddetto “pen register order”: la legge, tassello del Patriot Act, prevede che un servizio di comunicazione possa essere obbligato ad agevolare le autorità nell’installazione di un dispositivo di intercettazione. Il governo, si spiega nelle argomentazioni presentate da Levison in tribunale, ha considerato Lavabit come un tradizionale operatore di telecomunicazioni, che deve garantire l’intercettabilità su richiesta: la consegna della chiave SSL andrebbe ben oltre quanto chiesto agli operatori di TLC. Levison sottolinea altresì come lo Stored Communications Act, su cui le autorità hanno fatto leva per ottenere la chiave SSL, consente di richiedere i dati relativi a delle comunicazioni: la chiave SSL non ha nulla a che vedere con i messaggi scambiati, ma è piuttosto uno strumento per decifrarli, per accedere a tutte le comunicazioni mediate dal servizio.

Le richieste del governo, secondo la difesa di Levison, rappresenterebbero inoltre una chiara violazione del Quarto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti: per autorizzare una perquisizione deve esistere una motivazione ragionevole per ritenere che questa faccia emergere le prove di un reato. Le chiavi SSL, si spiega, “sono legali da possedere e da utilizzare, sono note solo a Lavabit e non sono mai state usate dall’azienda per commettere un reato, né costituiscono prova del fatto che un reato sia stato commesso”. Lavabit non è accusato né sospettato di alcun reato: sarebbe perciò “pressoché impossibile che informazioni note solo a Lavabit costituiscano una prova del fatto che sia stato commesso un reato”.

Come già messo in luce in passato, si tratterebbe inoltre di una questione di proporzione : consegnare la chiave SSL significherebbe offrire la possibilità di decifrare tutte le comunicazioni di tutti gli utenti di Lavabit, per ottenere le informazioni relative ad un solo un utente. Se Lavabit le avesse consegnate avrebbe tradito la propria missione, e con essa avrebbe truffato tutti gli utenti.

Gli argomenti di Levison sono a disposizione della giustizia, che si pronuncerà nel mese di novembre. Frutto di istanze accorate, secondo gli osservatori la difesa di Lavabit è destinata a non reggere: pur facendo leva sulle aree grigie di leggi non aggiornate alla tecnologia, la giurisprudenza avrebbe già tracciato la strada per consentire alle autorità di insinuarsi in ciò che il quadro normativo non sapeva descrivere nel momento in cui è stato formulato. Garantire l’assoluta riservatezza, per un servizio che offre strumenti di comunicazione, sarebbe ormai praticamente impossibile .

Gaia Bottà

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Pubblicato il 15 ott 2013
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