L'ipocrisia del file violato

L'ipocrisia del file violato

di Gilberto Mondi - Obama e Clinton si indignano perché qualcuno ha avuto accesso ad alcuni dei pochi dati personali che li riguardano che non siano già sulla pubblica piazza. Ma ai cittadini comuni va molto peggio. E agli europei?
di Gilberto Mondi - Obama e Clinton si indignano perché qualcuno ha avuto accesso ad alcuni dei pochi dati personali che li riguardano che non siano già sulla pubblica piazza. Ma ai cittadini comuni va molto peggio. E agli europei?

New York – “Intendiamo andare a fondo nell’indagine per scoprire che cosa sia accaduto. Nessun cittadino americano deve trovarsi in una situazione in cui le informazioni date al Dipartimento di Stato per ottenere un passaporto siano esaminate da personale non autorizzato”. Così il segretario di Stato Condoleeza Rice ai media americani nelle scorse ore, mentre imperversa la polemica su chi al Dipartimento, e perché, abbia ravanato illecitamente nei file su Barack Obama, Hillary Clinton e John McCain, tutti aspiranti prossimi presidenti degli Stati Uniti.

i due candidati democratici - L'ipocrisia del passaporto violato È una polemica di grande rilevanza e non tanto per i nomi dei coinvolti quanto per il fatto che emerge che tre dipendenti del Dipartimento abbiano voluto accedere a quei dati non perché prezzolati, non perché al soldo di un avversario politico o di una potenza straniera: hanno preso visione di quei dati per curiosità . È bastato aprire un file a cui avevano accesso e vedere cosa c’era dentro.

L’indignazione dei sostenitori di Obama è ai massimi storici e l’amministrazione Bush non può far altro che indignarsi a sua volta e procedere velocemente e con severità contro chi ha abusato della propria posizione: due dei tre dipendenti sono stati già licenziati, ed uno per ora è solo sanzionato.

La verità è che monta un balletto mediatico a cui mancano i fondamentali. Tra i dati “rubati” quello più sensibile è il numero di Social Security. Il che, ipotizzano i catastrofisti, potrebbe consentire a qualcuno di clonare le identità dei tre candidati per operazioni illecite. L’eventuale truffatore dovrebbe però trovare il modo di usare impunemente il nome dei tre politici più in vista del momento negli Stati Uniti, un compito assai più difficile del ricorrere ai nomi dei tanti “signor nessuno” i cui dati sono catturati quotidianamente e rivenduti; anche su Internet acquistare pacchetti di informazioni sensibili sottratte a migliaia di utenti nordamericani non è una difficile impresa.

E dispiace dunque che l’indignazione dei candidati che ha fatto seguito a questa violazione si sia fermata lì. Perché proprio in queste stesse ore, puntuale come un orologio svizzero, è arrivata la notizia di una nuova clamorosa, e stavolta vera e pesante, perdita di dati personali: è emerso che l’Istituto nazionale della Salute statunitense ha perduto i dati sensibili di 2.500 persone. Non si parla solo di numeri di Social Security, si parla di sette anni di analisi, di risultati medici, di elaborazioni sui problemi di salute di quelle persone.

Come ricorda l’ultimo Scenari pubblicato da Punto Informatico , il furto e la sparizione di dati di questo tipo negli Stati Uniti, ma certo non solo negli USA, è attualità di tutti i giorni, è quello che succede di continuo in tutto il Mondo occidentale. E non si tratta di dati sottratti per curiosità a persone di cui già si sa tutto per via della loro esposizione mediatica e posizione politica, sono invece informazioni rubate a semplici cittadini spesso con finalità commerciali, per portare a casa furti di identità, appropriarsi di beni altrui o commerciare informazioni sensibili con chi intende farne un uso truffaldino.

I candidati alla presidenza degli Stati Uniti hanno quindi perso un’occasione. Anziché cavalcare senza costrutto l’onda mediatica e l’ulteriore visibilità che lo scandalo ha loro concesso, avrebbero potuto scegliere una via del tutto diversa, rilanciando sul fronte sicurezza, per ideare nuove strategie sulla gestione dei dati, per sensibilizzare enti pubblici ed imprese sulla delicatezza di questo tema. È una questione che interessa da vicino anche tutti gli europei, i cui dati personali e sensibili finiscono negli Stati Uniti perché consegnati all’arrivo negli USA o semplicemente perché abusivamente intercettati dalle strutture di intelligence statunitensi, visto anche che una parte enorme del traffico Internet europeo circola proprio sulle reti statunitensi e che l’amministrazione Bush non ha mai dati segni di porre il diritto alla riservatezza in cima alle sue priorità. Sono dati che vengono protetti, si fa per dire, da organizzazioni che assai più raramente del Dipartimento di Stato negli USA finiscono in prima pagina, anche quando la loro attività riguarda molto più di tre vip.

Gilberto Mondi

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Pubblicato il
25 mar 2008
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