Ma l'IA è davvero intelligente?

Ma l'IA è davvero intelligente?

Un appuntamento in terra britannica mette alla prova i cervelli elettronici con il Test di Turing. Ospite d'eccezione, il celebre cyber-professore, l'aspirante borg Kevin Warwick
Un appuntamento in terra britannica mette alla prova i cervelli elettronici con il Test di Turing. Ospite d'eccezione, il celebre cyber-professore, l'aspirante borg Kevin Warwick

Sei computer in gara per contendersi il premio di prima intelligenza artificiale dotata di autocoscienza. Vince chi supera il test ideato da Alan Turing nel 1950: un umano si intrattiene in una conversazione con una macchina e una controparte in carne ossa per un tempo fissato, e dalle risposte ottenute distingue tra chip e neuroni. Sempre che sia possibile.

I sei concorrenti in gara rispondono ai nomi di Elbot, Eugene Goostman, Brother Jerome, Alice, Jabberwacky e Ultra Hal: si tratta di AI sviluppate al solo scopo di conquistarsi il titolo di primo essere pensante artificiale della storia, oltre a un premio in denaro da 100mila dollari e una medaglia commemorativa in oro. Nessuno fino ad oggi è riuscito nel tentativo di ingannare l’umano, ma le cose sono destinate – presto o tardi – a cambiare.

Tra i giudici dell’annuale Premio Loebner per l’Intelligenza Artificiale figura anche un poliedrico professore della stessa università britannica in cui si tengono le selezioni: Kevin Warwick . Salito alla ribalta per i suoi discussi esperimenti cibernetici, con chip impiantati nelle braccia sue e della moglie con scopi tra i più svariati ( accendere o spengnere le luci, passarsi informazioni sul movimento, trasmettersi emozioni anche molto intime), e una visione molto nitida di un futuro con umani “potenziati” dalle macchine.

Proprio Warwick spiega al Guardian che la vera sfida forse non è neppure più quella di simulare la consapevolezza umana : “Direi che ormai le macchine sono già autoconsapevoli, ma come può esserlo una macchina: proprio come un pipistrello e un topo sono consapevoli nella maniera dei pipistrelli e dei topi, in modo cioè diverso da un essere umano”. Il professore tenta anche di motivare la scelta di Turing, adottata ancora oggi, di un gioco di ruolo per determinare se una macchina è capace di ingannare un uomo: “Forse per Turing l’autoconsapevolezza non era poi così importante: forse conta più l’apparenza, e questo test si concentra appunto su chi è in grado di dare un’apparenza di autoconsapevolezza”.

Davanti agli schermi dei computer tutto sarà possibile: scherzare, affrontare argomenti complicati o leggeri, fare domande dirette o richiedere valutazioni metafisiche. Quello che conta è riuscire, appunto, a fornire risposte indistinguibili da quelle di un umano : tanto da ingannare chi si trova al di qua dello schermo, o almeno metterlo in dubbio. Anche quest’ultima possibilità, da sola, basterebbe a far segnare una tappa fondamentale nell’evoluzione delle IA.

Secondo un collega di Warwick, il filosofo Anthony Graylin dell’ Università di Londra , l’intero concetto del Test di Turing è in realtà minato alle basi: “Tutti credono che si tratti di un confronto di un uomo con una macchina e un altro uomo – spiega l’accademico – quando in realtà si tratta di confrontarsi con un computer e il suo programmatore”. Per Grayling, insomma, la rincorsa a superare il test potrebbe rivelarsi vana: è pur sempre l’intelligenza umana a generare quella artificiale delle macchine.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
6 ott 2008
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