Open source a scuola grazie a PC ri-utilizzati

Open source a scuola grazie a PC ri-utilizzati

Ne parlano a Punto Informatico i responsabili del progetto TRIciclo, che coinvolge alcune scuole superiori del barese e che potrebbe sbarcare nelle università. Raccontare il software libero e insegnare ad usarlo, e a produrlo
Ne parlano a Punto Informatico i responsabili del progetto TRIciclo, che coinvolge alcune scuole superiori del barese e che potrebbe sbarcare nelle università. Raccontare il software libero e insegnare ad usarlo, e a produrlo

Bari – L’Istituto Tecnico Commerciale Giulio Cesare di Bari è tra i primi primi licei italiani a mettere in atto una sperimentazione che coniuga filosofia ed etica del software libero ed open source con il riciclo di computer ormai obsoleti.

TechnoSec, società di sviluppo di software libero, ha infatti dato vita a partire dal 2004 a Progetto TRIciclo , applicabile a qualsiasi organizzazione o ente, che si propone di rendere di nuovo operativi, grazie ai software basati su Linux, quei computer che ormai non possono più reggere i programmi Microsoft. Il progetto ha trovato molti riscontri presso le scuole superiori: solo nel liceo Giulio Cesare sono stati recuperati circa 30 pc che giacevano accatastati come rottami in uno stanzino rendendoli di nuovo operativi in forma di terminali grafici collegati ad un server centrale che ne gestisce il sistema operativo. Punto Informatico ne ha parlato con Marco Pennelli di TechnoSec.

Punto Informatico: Come si ri-utilizzano computer considerati obsoleti?
Marco Pennelli: Principalmente grazie al Linux Terminal Server Project che permette di collegare insieme una serie di computer che fanno anche il boot direttamente via rete, caricando così il sistema operativo dal server. E poi, dato che tutto quello che viene fatto dai client viene seguito dal server, questi PC possono anche non avere un disco fisso.

PI: Ma quanto sono “obsoleti” questi PC di cui parliamo?
MP: Diciamo che un client che viene recuperato può anche essere un pentium 100 con 32 MB di RAM e il server (che non può essere un PC riutilizzato ma necessariamente una macchina acquistata) di media potenza (dotato di almeno 2Gb di Ram) può elaborare i calcoli per 30 di queste macchine.

PI: C’è di mezzo anche il calcolo distribuito?
MP: In questo momento no. Inizialmente si pensava anche ad un discorso di clustering per fare calcolo distribuito sulle macchine, ma siccome non ci sono software liberi adeguatamente sviluppati abbiamo accantonato l’idea. Nel futuro sarà sicuramente possibile avere piccoli cluster nei supercomputer che con l’aggiunta di piccole macchine aumentino la potenza del cluster stesso.

PI: Perché spingere il software libero nelle scuole?
MP: Alle scuole questa cosa conviene perché risparmiano il 75% rispetto a modernizzare il proprio laboratorio e poi hanno qualcosa in più da offrire a docenti e studenti in termini di formazione.

PI: Già, perché non tutti sanno usare le piattaforme alternative
MP: Al momento stiamo facendo unicamente la formazione per i professori e sempre con loro stiamo valutando la possibilità di fare un percorso formativo per gli studenti. Anche perché quando i professori imparano a conoscere il software libero sono più sicuri e propensi a formare i ragazzi.

PI: Quali sono i software che insegnate ad usare?
MP: Innanzitutto utilizziamo EdUbuntu (una distribuzione educational, configurato proprio per il boot via rete) e diamo le basi per insegnarlo e poi ci occupiamo anche dei linguaggi di programmazione, insegnando magari Python al posto di Visual Basic e chiaramente OpenOffice da usare al posto di Office.

PI: Insegnate solo l’utilizzo tecnico o anche l’etica del free software ?
MP: La prima cosa che facciamo è proprio spiegare l’ideologia del software libero e dell’open source, le differenze tra i due movimenti e le loro caratteristiche, perché sono nati e come si stanno evolvendo, perché non sono nati ieri ma molti anni fa.
Si fa quindi tutto un discorso di storia, dall’avvio di Unix fino a Linux parlando anche dei vari personaggi del panorama open source. Facendo così abbiamo ottenuto che i docenti si sentano parte di una comunità e trasmettano poi più facilmente quest’ideologia ai ragazzi. In più, stiamo anche discutendo sulla possibilità di far sì che studenti e docenti contribuiscano allo sviluppo di software liberi.

PI: Ma una cosa del genere non richiede molto più tempo di quello che possono offrire degli studenti di liceo?
MP: In un istituto tecnico c’è un’area di progetto che gli studenti devono fare ogni anno e consiste in qualcosa che loro realizzano e che accomuna varie materie e discipline. E solitamente quando c’è l’informatica di mezzo viene realizzato un software che accomuni più materie. Adesso quindi il progetto potrebbe essere di realizzare un software libero, utilizzabile anche da altre scuole (che magari possono anche contribuire). Ogni classe ne realizza un modulo.

PI: Ma per la sua specificità questa non è un’iniziativa più adatta alle università?
MP: Sì. Così com’era nato, TRIciclo addirittura era dedicato alle organizzazioni nel senso più generale, categoria nella quale potevano rientrare anche le Pubbliche Amministrazioni. Ma nelle università, almeno in Puglia, c’è più resistenza nel far entrare il software libero. Per questo noi cerchiamo di creare un clima che lo favorisca.

PI: Questo vostro primo esperimento è avvenuto in un istituto dove i ragazzi sono mediamente più preparati tecnicamente rispetto ad altri tipi di licei. Come pensa andrebbe un progetto simile in un liceo classico?
MP: Io penso che ci sarebbero sicuramente lati positivi nell’utilizzo. Per esempio in un liceo classico ci sarebbe decisamente più feedback sulla parte ideologica. E poi non bisogna dimenticare l’aspetto del risparmio di denaro per l’evoluzione del laboratorio informatico.

a cura di Gabriele Niola

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Pubblicato il 13 mar 2007
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