PTS, sparabanner a pagamento in declino

PTS, sparabanner a pagamento in declino

C'è chi ritiene plausibile che gli sparabanner siano entrati in crisi a causa dei cheats. Ma è davvero così?
C'è chi ritiene plausibile che gli sparabanner siano entrati in crisi a causa dei cheats. Ma è davvero così?


Roma – C’erano una volta i “PTS”, i servizi “PayToSurf”. Pagati per navigare, pagati per ricevere email… “Telelavoro” lo chiamavano alcuni. Certamente qualcuno qualcosa ha guadagnato, ma di certo non le aziende che hanno fin qui gestito i servizi.

Punta d’iceberg del declino la celeberrima AllAdvantage che, non contenta di aver abbassato a livelli ridicoli la remunerazione per ogni ora di assorbimento banner da parte degli utenti che sottoscrivono un contratto demenziale, ha cominciato a diffondere email minatorie nei confronti di quegli utenti che non utilizzano il suo software sparabanner.

L’azienda ha deciso di applicare una “multa” per ogni mese di mancato utilizzo del software proprietario “Viewbar” e, quindi, di mancata visione dei banner del circuito pubblicitario da lei gestito. Se a prima vista questa decisione sembrerebbe dettata da esigenze di pianificazione (per sapere quanti banner possono essere venduti nei mesi a seguire ed eliminare dal computo gli utenti “inattivi”), alla luce dei fatti si rivela invece una pratica antipatica ed immotivata. La questione, infatti, è semmai cosa visualizzare: di recente per lunghe settimane nessun banner pubblicitario è apparso sul circuito AllAdvantage, sintomo evidente della crisi che ormai attanaglia ed indebita l’ex colosso dei PTS.

Se è vero che fino a qualche mese fa qualche guadagno per gli utenti era ancora possibile, tramite l’affiliazione al network di altri utenti (chiamati “referral”), oggi è veramente difficile convincere qualcuno a sottoscrivere quel contratto demenziale. Un contratto che prevede pagamenti per un massimo di 8mila lire al mese e costringe quindi ad aspettare un anno o più per raggiungere l’assegno minimo pagato da AllAdvantage, ovvero 100mila lire di credito. E l’Italia non è il fanalino di coda, in alcuni paesi l’azienda ha portato a cifre ancora più ridicola i pagamenti per ogni ora di banner sparato sul monitor dell’utente.

Perché scrivo ripetutamente “contratto demenziale”? Perché il contratto di affiliazione ad AllAdvantage è un capolavoro di irregolarità, un paradosso illegale, un elenco di assurdità tali che vien quasi voglia di applicarlo alla “vita reale”.

Nella “vita reale”, ad esempio per regolamentare un rapporto di lavoro, il contratto di AllAdvantage suonerebbe più o meno così: “Io sono l’azienda, e ti pago secondo questo contratto. Tu accetti che questo contratto possa essere cambiato da me in ogni momento e che il tuo stipendio possa cambiare in qualsiasi momento. L’azienda non è tenuta a comunicarti le variazioni del tuo stipendio, perché sei tu che devi controllare la tabella dei pagamenti. Chi si assenta per qualsiasi motivo non solo non verrà pagato ma gli verranno tolti i soldi dagli stipendi dei mesi precedenti di lavoro svolto”.

Sembra incredibile, ma sette milioni di persone hanno accettato questo contratto, anche se a dire il vero non c’è modo di scovare un numero attendibile riferito agli effettivi utilizzatori del servizio.

Tra gli altri servizi analoghi, concorrenti sullo stesso campo minato dei servizi e delle irregolarità, negli ultimi mesi hanno brillato di luce propria SurfingPrizes e CashFiesta .

Il primo è stato capace di ridurre retroattivamente il “payrate”, ovvero la cifra corrisposta per ogni ora di banner visualizzati. Chi aveva dunque accumulato piccole fortune si è visto dimezzare la cifra, somme che all’azienda già sono arrivate sotto forma di entrate pubblicitarie, pagate dagli inserzionisti di banner che sono stati comunque visti, cliccati, assorbiti dagli utenti…

Cashfiesta invece ha proprio sospeso del tutto il servizio per un mese, pubbliccando una lacrimosa lettera aperta ai propri utenti nella quale più o meno spiegava: “Ragazzì, qui non c’è una lira, i nostri sponsor non ci pagano e non vogliono usare il nostro servizio per pubblicizzarsi perché molti di voi usano trucchetti (“cheat”) e non visualizzano in realtà un bel niente. Quindi ripartiamo a breve abbassando però drasticamente i pagamenti, da 60 cents l’ora a 10 cents”… (continua in seconda pagina)


Trucchetti? Mancate visualizzazioni? I “cheat”, per molti i principali responsabili della crisi dei PTS, a volte sono un falso problema: Publitalia o Sipra controllano forse che i telespettatori siano realmente davanti al televisore mentre va in onda la loro pubblicità Tv? Non è forse vero che la maggioranza degli spettatori approfitta della pubblicità per orinare, girare il sugo, cambiare canale, telefonare alla suocera (vista la lunghezza delle interruzioni pubblicitarie)?

La soluzione proposta da molti servizi PTS che non pongono limiti di tempo (utilizzabili per una quantità illimitata di ore durante il mese) è stata quella abbastanza ragionevole di porre un tetto massimo “razionale”. Non è infatti ipotizzabile che qualcuno stia davanti al computer per 20 ore ogni giorno del mese. Quindi chi raggiunge simili risultati sta usando dei programmi di autonavigazione, dei cheat insomma. Il punto è che la quantità e la varietà nonché le spesso strabilianti caratteristiche di questi programmini li hanno resi ormai invisibili ai sistemi di controllo dei network sparabanner.

Progenic produce un programma, ad esempio, che inganna i network quando controllano l’effettiva presenza davanti al computer dei propri utenti. Un programma che non solo muove il mouse ad intervalli irregolari ma anche naviga all’interno del Web seguendo un elenco di siti scelti a caso mentre digita caratteri sulla tastiera… virtualmente s’intende. Un software che oltretutto si rende invisibile (“stealth mode”) e quindi teoricamente non rilevabile neanche dai PTS più scaltri.

Cheat a parte, che non possono certo aver influito in forze sulla crisi del sistema PTS, quello che pare essere in bilico è un servizio di distribuzione pubblicitaria parallela a quello Web, un modello di business che evidentemente è arrivato al suo limite strutturale.

Milioni di utenti per ogni servizio (8 milioni su AllAdvantage, 6 milioni su CashSurfer, 10 milioni dichiarati da Netfraternity e via dicendo) moltiplicati per il numero di ore di banner visualizzati (dalle 8 ore mensili di AllAdvantage alle 30 di Netfraternity fino ai no-limits di CashSurfers e altri) danno come risultato una mole gigantesca di “tabelloni” pubblicitari in attesa di essere riempiti, evidentemente in numero enormemente al di sopra della richiesta pubblicitaria.

Il caso di CashFiesta, poi, è sintomatico. Gli inserzionisti, infatti, sembrano non essere più disposti a fidarsi di un sistema di diffusione pubblicitaria “non infallibile”. Incredibilmente gli inserzionisti tornano a preferire i banner Web tradizionali, affidandosi alle concessionarie pubblicitarie, anche quando si tratta di cadere dalla padella alla brace: nessuna possibilità di controllo sull’effettiva trasmissione dei banner, sul loro numero, sull’effettiva visualizzazione degli stessi e sugli eventuali clic effettuati dagli utenti. Tutto si basa tutto sulla fiducia, ma non esiste un reale ed infallibile sistema di controllo come illustrato anche in un vecchio articolo di Stand By.

E l’Italia? Per fortuna sta a guardare, con i due servizi rivali Payland e Netfraternity funzionanti e paganti, mentre il terzo incomodo, MagicSun, dopo un fallimentare esordio qualche mese fa ora promette agli utenti il rilancio con nuovi server nel mese di Settembre 2000 er garantire un servizio finora praticamente solo promesso.

D’altra parte qui da noi è sufficiente che un’azienda annunci un servizio che paga per ogni SMS ricevuto perché si ritrovi i database pieni di migliaia di nomi e cognomi associati a numeri di cellulare senza aver neppure bisogno di spedire un solo SMS…

Luca Schiavoni

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Pubblicato il 8 set 2000
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