Pechino spinge sulla cultura dell'autocensura

Pechino spinge sulla cultura dell'autocensura

Anche sui programmi di instant messaging: lo rivela un report di RSF, basato sulle rivelazioni di un tecnico locale. La complessa macchina censoria della Repubblica Popolare è messa sempre più a nudo
Anche sui programmi di instant messaging: lo rivela un report di RSF, basato sulle rivelazioni di un tecnico locale. La complessa macchina censoria della Repubblica Popolare è messa sempre più a nudo

“Il vostro sito non è compatibile con quanto previsto dall’Amministrazione in materia di giornalismo online: ha illegalmente istituito una sezione dedicata alle notizie”. Questo il messaggio dell’Ufficio propaganda cinese che può raggiungere qualsiasi amministratore degli oltre tre milioni di siti Web locali che raccolgono notizie da fonti indipendenti dal regime, interviste comprese.

È noto che l’apparato propagandistico e censorio del governo cinese funziona da anni a pieno regime, da ben prima del 2005, anno dal quale il monitoraggio della Rete è operato secondo schemi organizzati, un’azione che si dispiega sui fronti più disparati . L’ennesima conferma della situazione in cui versano i netizen al di là della grande muraglia digitale viene da un documento di Reporters Sans Frontières ( RSF ), basato sulla soffiata di un anonimo tecnico locale.

La macchina censoria e propagandistica della Repubblica Popolare, spiega RSF , si compone di numerosi ingranaggi. A sondare quanto avviene online è l’Ufficio del Partito per l’Informazione e la Pubblica Opinione e il relativo centro di studi: battono a tappeto la Rete e organizzano relazioni giornaliere e settimanali per aggiornare il governo e i gestori di numerosi siti commerciali sull’umore che si respira in rete, nonché sugli afflati sobillatori che animano i più estremisti tra i netizen .

Perno dell’apparato che sostiene il great firewall cinese, è l’ Ufficio Internet di partito: secondo RSF approfitta di un budget da 19 miliardi di euro per controllare i 162 milioni di netizen cinesi. La sua è un’attività che si dispiega su più fronti. Ad esempio organizza corsi per ammaestrare studenti e dipendenti statali alle tecniche censorie e all’autocensura, suggerendo un set di parole chiave “sensibili”, che potrebbero restare imbrigliate nelle forche caudine della censura. Fra le parole da utilizzare con cautela, “1989.6.4” (data dei fatti di Tienanmen ), “Li Hongzhi” (fondatore del movimento eretico Falun Gong ), sinonimi e perifrasi non fanno eccezione. Le lezioni dell’Ufficio Internet hanno coinvolto addirittura numerose aziende che operano online, Yahoo! compresa . La finalità dei corsi? Instillare nella filosofia aziendale gocce di propaganda di regime.

Non bastasse, l’Ufficio Internet verifica con costanza che i corsisti abbiano appreso la lezione: SMS e MSN i mezzi prediletti dagli impiegati dell’Ufficio Internet per comunicare con amministratori di siti e giornalisti e snocciolare minacciosi consigli riguardo agli argomenti da affrontare online. Per chi decidesse di non sottostare ai moniti, le sanzioni sono fra le più varie. Pena pecuniaria per chi cita fonti alternative all’agenzia statale Xinhua , licenziamento per un giornalista di Netease che ha proposto un sondaggio azzardato nella sezione dedicata al dibattito, sezione prontamente rimossa.

Oggetto del sondaggio, l’amor patrio dei concittadini. Alla domanda “Se rinascessi, sceglieresti di rinascere cinese?” il 64 per cento dei rispondenti propenderebbe per altri natali. “Non è onorevole essere cinesi”, “la felicità in Cina è inaccessibile” le motivazioni di alcuni dei partecipanti.

Gaia Bottà

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
15 ott 2007
Link copiato negli appunti