Più vicino il mantello dell'invisibilità

Più vicino il mantello dell'invisibilità

Passi avanti nella realizzazione di tecnologie e materiali che permettono di rendere un oggetto invisibile all?occhio umano. Ci lavorano alla Duke University, sulle tracce delle già numerose ricerche in materia
Passi avanti nella realizzazione di tecnologie e materiali che permettono di rendere un oggetto invisibile all?occhio umano. Ci lavorano alla Duke University, sulle tracce delle già numerose ricerche in materia

“È un piccolo passo sulla strada per le applicazioni dell’invisibilità” rivela Steven Cummer, membro del team di ricerca che coinvolge la Duke University Pratt School of Engineering e l’ Imperial College di Londra . Non siamo lontani dalle invenzioni fantascientifiche che nel corso dei secoli permettevano a nobili eroi e personaggi animati dagli intenti più crudeli di agire indisturbati, vestendo un mantello che li nascondeva dagli sguardi indiscreti. I presupposti ci sono, ma la strada è ancora tutta da percorrere.

L’uomo vede perché la luce, riflettendo sugli oggetti, viene restituita alla retina. Riuscendo a deviare la luce mediante una sorta di scudo, facendola scorrere come fosse la corrente d’acqua che scroscia attorno ad un masso in un torrente, l’oggetto risulterebbe invisibile. Èquesto il concetto sul quale sta lavorando il team di ricerca anglo-americano che ha tentato di sviluppare, prima in ambito teorico e ora con un esperimento, la teoria proposta da Sir John Pendry dell’Imperial College di Londra.

L’esperimento si è svolto in forma semplificata: lo “scudo” funziona su due dimensioni invece che su tre, l’occultamento non è quindi completo e riesce a deviare microonde elettromagnetiche collocabili in uno spettro di frequenze non percepibili all’occhio umano. In altre parole l’oggetto non sparisce alla vista umana, ma solo ad appositi rilevatori.

I metamateriali , composti artificiali che costituiscono la “barriera occultante”, sono disposti in una serie di cerchi concentrici, struttura che conferisce loro delle specifiche proprietà elettromagnetiche, e li rende capaci di interagire con le onde che li colpiscono.

I metamateriali guidano le onde e le fanno scivolare attorno all’oggetto : “È come se si creasse un vuoto nello spazio, le onde elettromagnetiche sono direzionate attorno all’area, e i metamateriali le fanno riemergere dall’altra parte dell’oggetto: le onde si comportano come se passassero attraverso un volume vuoto di spazio” cerca di spiegare David Shurig , uno dei progettisti della Duke University.

Il prossimo obiettivo sarà sviluppare un “mantello” tridimensionale invece che una barriera, che sia capace di conferire invisibilità anche al range di frequenze visibili all’occhio umano.

Visto che le microstrutture nascoste nei metamateriali devono essere più piccole della lunghezza d’onda delle onde elettromagnetiche sulle quali operano, si dovranno sviluppare strutture di metamateriali più intricate e miniaturizzate. Per l’invisibilità ottica le strutture dovrebbero essere sulla scala dei nanometri, un miliardesimo di un metro.

Per l’invisibilità radar è sufficiente lavorare nell’ordine dei millimetri, rivela Pendry. È questo il motivo per cui il progetto è stato foraggiato dalla DARPA , la Defense Advanced Research Projects Agency americana: le applicazioni di questa tecnologia in ambito militare fanno gola al Pentagono. L’implementazione di questa tecnologia di occultamento appare più appetibile rispetto a quella già applicata ai velivoli stealth : ricoperti di vernici radar-assorbenti, confondono i dispositivi di localizzazione ma non li ingannano del tutto.

Le applicazioni non si limiterebbero, però, al solo ambito militare, cioè al nascondere armi distruttive rese ancor più temibili dall’invisibilità. Si pensa all’invisibilità come ad un mezzo per ridurre l’impatto ambientale di interi palazzi. Oppure si potrebbero creare mantelli di metamateriali per consentire ai segnali della telefonia cellulare di aggirare gli ostacoli. Il traguardo tagliato dai ricercatori della Duke University non è la prima tappa raggiunta nella corsa all’invisibilità. Sono numerosi e variegati i precedenti tentativi.

Ray Alden, ingegnere della North Carolina, nel 2002 lavorava su un’ idea empiricamente semplice . Un oggetto viene ricoperto da sensori e da dispositivi capaci di emettere luce. Se la superficie retrostante l’oggetto raccoglie informazioni riguardo all’intensità della luce e del colore, gli emissori di luce, posti sulla superficie frontale, proiettano raggi di luce che riproducono mimeticamente ciò che si trova dietro l’oggetto. Il risultato, per l’osservatore, è la “trasparenza” dell’oggetto che osserva.

L’idea, concettualmente, è molto simile a quella sviluppata nel 2004 da Susumu Tachi, Masahiko Inami and Naoki Kawakami presso l’ università di Tokio . Il camuffamento ottico si serve di una sorta di impermeabile di carta stagnola e della Retro-reflective Projection Technology. Una videocamera registra ciò che avviene alle spalle del soggetto e trasmette l’immagine ad un proiettore puntato su di lui. Grazie allo speciale materiale di cui è composto il suo “impermeabile”, diventa virtualmente trasparente.
Applicazioni di questa tecnologia sono previste in ambito aeronautico, per facilitare le pratiche di atterraggio, rendendo trasparente la superficie inferiore dell’aereo, o a bordo delle automobili, per semplificare parcheggi troppo ardui.

Concettualmente più complessa è l’ idea di Nader Engheta e Andrea Alù , ricercatori alla University of Pennsylvania. Prevedevano nel 2005, l’avvento di nubi di elettroni capaci di assorbire la luce a particolari lunghezze d’onda. Lasciando che la luce attraversi lo strato “nuvoloso”, si nasconde ciò che è posto dietro lo “scudo”.

Altro promettente mantello capace di garantire l’invisibilità è quello sviluppato all’inizio del 2006 da Oleg Gadomsky, ricercatore russo presso la Università statale di Ulyanovsk. Uno strato di microscopiche particelle d’oro sarebbe capace di rendere invisibili gli oggetti che ricopre.

Graeme Milton della Utah University e Nicolae-Alexandru Nicorovici della Sydney University of Technology hanno invece teorizzato la possibilità di costruire delle superlenti in grado di occultare (parzialmente, e a determinate condizioni) degli oggetti posti vicino ad essi. Questo risultato è dovuto al fatto che le superlenti sono capaci di invertire la traiettoria della luce, grazie ad un indice di rifrazione negativo: non producono l’invisibilità, ma una condizione di assenza di luce, e quindi di non-visibilità.

Inizino a tremare i maghetti di J.K.Rowling, i Romulani e i Klingon di Star Trek, sulle loro astronavi occultabili, i fisici del calibro di Griffin (l’uomo invisibile di H.G.Wells) e gli appassionati di Tolkien: i loro segreti stanno per essere svelati.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
24 ott 2006
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