Pirateria, l'ISP non è un controllore

Pirateria, l'ISP non è un controllore

L'industria dei contenuti vorrebbe che il fornitore di connettività implementasse tecnologie quali la deep packet inspection per monitorare il traffico generato dagli utenti, così da sospendere i contratti dei pirati
L'industria dei contenuti vorrebbe che il fornitore di connettività implementasse tecnologie quali la deep packet inspection per monitorare il traffico generato dagli utenti, così da sospendere i contratti dei pirati

Non intende monitorare le attività dei propri utenti a caccia di pirati, non intende estromettere i propri utenti che vengano colti in violazione disponendo chiusure di contratti prima della valutazione di un giudice: il fornitore di connettività statunitense Cox, il primo ad essere stato giudicato corresponsabile delle violazioni del copyright perpetrate dai propri abbonati, è fermamente deciso a non agire da controllore e da giudice al servizio dell’industria dei contenuti.

Nonostante sia stato fra i primi ISP statunitensi ad aderire alle sperimentazioni del sistema di avvertimenti dei six strikes , incoraggiato dalle autorità statunitensi per dissuadere i pirati dalle recidive, nonostante preveda per contratto di disconnettere temporaneamente o definitivamente coloro che abusino del copyright attraverso i suoi servizi, Cox era stata denunciata da BMG Rights Management LLC. La casa discografica lamentava l’inazione del fornitore di connettività, colpevole di non aver diramato gli avvertimenti dei six strikes e di non aver dato seguito alle intimidazioni contrattuali nei confronti di diversi indirizzi IP che si sono macchiati di condivisione illecita per 1397 opere.

Cox, di fronte al tribunale, aveva argomentato chiamando in causa la modalità delle segnalazioni ricevute da BMG, basate sull’operato della controversa attività di Rightscorp, e aveva ribattuto che in caso di segnalazioni formalmente ineccepibili avesse sempre agito in maniera proporzionata, amministrando le disconnessioni nei confronti degli utenti più pericolosi. Ciò non era bastato a convincere il giudice incaricato di valutare il caso, che nel mese di dicembre aveva dato ragione a BMG: Cox sarebbe stata a conoscenza delle violazioni ma non avrebbe adottato misure “ragionevoli” nei confronti di coloro che abusino ripetutamente del diritto d’autore e, così come avviene per le piattaforme che ospitano i contenuti caricati da terzi, anche il fornitore di connettività era stato considerato corresponsabile dei propri utenti , condannato a risarcire BMG con 25 milioni di dollari, 18mila dollari per ciascuna opera.

BMG, inoltre, aveva chiesto alla giustizia statunitense di intimare a Cox di modificare il proprio comportamento: la casa discografica avrebbe voluto che che Cox cominciasse a collaborare appieno, sospendendo gli abbonamenti dei pirati e rivelando le loro identità . Chiedeva inoltre al giudice che si imponesse all’ISP di “prevenire o limitare le future violazioni”, magari implementando tecnologie intrusive come la deep packet inspection .

Il fornitore di connettività si è ora opposto strenuamente a queste richieste: “BMG suggerisce che si aspetta che Cox monitori le attività dei propri utente, e interrompa i loro account” e questa richiesta, sottolinea l’ISP, sarebbe tanto vaga quanto “irragionevole”. BMG vorrebbe caricare un soggetto come il fornitore di connettività di oneri non sostenibili, costringendolo ad elaborare soluzioni tecnologiche e legali per intercettare il traffico dei propri utenti e monitorarlo, per concludere i rapporti con i pirati sulla base di soli sospetti, senza la decisione di un giudice , senza offrire loro alcuna possibilità di contraddittorio. “Nessun tribunale ha mai forzato un neutrale fornitore di accesso a Internet a diventarne un gatekeeper”, lamenta Cox, e accordare a BMG l’ingiunzione significherebbe imporre al provider di agire in maniera “sproporzionata, intrusiva e punitiva nei confronti dei propri utenti” e “probabilmente illegale”, dato il regime di sorveglianza a cui la casa discografica vorrebbe si sottoponessero gli utenti.

Cox cita dei precedenti per cui i detentori dei diritti hanno ottenuto delle ingiunzioni nei confronti di intermediari, piattaforme che ospitassero contenuti caricati da terzi o ne agevolassero la diffusione. Mai fino ad ora un fornitore di connettività è stato chiamato a monitorare i propri utenti e a estrometterli: “Una ingiunzione nei confronti di Napster significa cje le persone non possono più ottenere musica gratuitamente su Napster – osserva Cox – mentre una ingiunzione nella quale si chiede a uno dei principali fornitori di connettività Internet di sospendere i contratti stipulati c on famiglie e aziende è una questione completamente diversa”.
Sarà la giustizia statunitense , nel corso delle prossime settimane, a decidere sul da farsi.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
23 feb 2016
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