RIAA, numeri stonati

RIAA, numeri stonati

Il modello di business dell'organizzazione delle etichette discografiche statunitensi? I numeri parlano di un fallimento dalle dimensioni imbarazzanti. Nel mentre le major continuano a sottopagare gli artisti
Il modello di business dell'organizzazione delle etichette discografiche statunitensi? I numeri parlano di un fallimento dalle dimensioni imbarazzanti. Nel mentre le major continuano a sottopagare gli artisti

Quello che emerge dai numeri recentemente pubblicati sull’attività legale di RIAA ha il sapore della beffa: in un arco temporale della durata di tre anni, l’organizzazione di rappresentanza delle etichette discografiche è stata lesta nel corrispondere parcelle legali ai suoi avvocati ma ne ha ricavato pochi spiccioli. La fortuna non sorride a RIAA, e altrettanto sfortunati sono gli artisti a cui viene corrisposta – dicono ancora i numeri – una frazione infinitesimale del “bottino” commerciale incassato dalle major.

Si parla naturalmente della famigerata campagna di contrasto giudiziario al file sharing, un’iniziativa in cui RIAA si è imbarcata per anni prima di abbandonare l’idea delle denunce di singoli condivisori e passare direttamente alla cassa dei provider Internet. Molti sono stati gli studi legali coinvolti dalle major nella campagna anti-P2P, e molto buoni si sono rivelati essere i guadagni corrispondenti.

Tra il 2006 e il 2008, RIAA ha speso qualcosa come 64 milioni di dollari per foraggiare l’anti-pirateria di massa che avrebbe dovuto bloccare la proliferazione incontrollata del file sharing e la perdita del controllo sui contenuti da parte dell’industria discografica. Quanto ha incassato RIAA in raffronto ai 64 milioni di spesa? Circa 1,3 milioni di dollari , vale a dire il 2% della cifra investita in avvocati e “operazioni investigative” sul genere di quelle condotte dalla defunta MediaSentry .

Non solo RIAA non ha sconfitto il file sharing come fenomeno di massa e la pirateria dei contenuti a esso connessa, dicono i numeri, ma avrebbe anche fallito clamorosamente l’ azzardata scommessa di riuscire a recuperare introiti da quella gran massa di file musicali scambiati quotidianamente a miliardi sulle più popolari reti di condivisione (BitTorrent, eMule, DC, WinMX e via elencando).

Una rappresentazione “a torta” messa insieme da The Root serve poi da prezioso promemoria su come vanno realmente le cose nel mondo apparentemente dorato del business musicale internazionale. Le major incassano la stragrande maggioranza dei ricavi provenienti dalle vendite – su supporto fisico o digitali – mentre agli artisti e i professionisti (produttori, legali e manager assortiti) resta da spartirsi il 13%. Nessuna sorpresa che tali condizioni portino alla lunga al fallimento – sistematico e voluto – degli artisti che RIAA così veementemente dice di voler difendere con le sue azioni legali anti-P2P.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
14 lug 2010
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