Streaming e musica, chi cospira contro il freemium?

Streaming e musica, chi cospira contro il freemium?

Apple, Universal, Warner e Sony sono coinvolte in una indagine delle autorità di due stati americani: dovranno provare di non voler usare il proprio potere per sopprimere i modelli di business meno redditizi e la libertà di scelta del consumatore
Apple, Universal, Warner e Sony sono coinvolte in una indagine delle autorità di due stati americani: dovranno provare di non voler usare il proprio potere per sopprimere i modelli di business meno redditizi e la libertà di scelta del consumatore

Il contesto è il vivace scenario dello streaming, che si candida ad affermarsi come il modello di business capace di sostenere l’industria musicale del prossimo futuro, gli osservati speciali sono i colossi di settore: le major, e i loro chiacchierati rapporti con Apple, reduce dal pomposo lancio del proprio servizio Apple Music.

Mentre è dato sapere poco riguardo alle iniziative ancora in fase embrionale che si vocifera siano state avviate dalla Commissione Europea e dalla Federal Trade Commission statunitense , a muoversi in maniera concreta sono i procuratori generali dello stato di New York e dello stato del Connecticut : stanno esplorando il mercato dello streaming, analizzando indiscrezioni e attriti, raccogliendo testimonianze dai soggetti che le contingenze suggeriscono possano agire in combutta per imbrigliare le tendenze in corso e addomesticarle a proprio favore, a discapito della concorrenza e dei consumatori. A rivelare i nomi di alcuni dei sorvegliati speciali è una lettera a firma dei legali di Universal, pubblicata sul sito del procuratore generale di New York: nel mirino delle autorità ci sono le major del disco, UMG, Sony Music Entertainment e Warner Music Group, e a rappresentanza dei soggetti che operano sul mercato dei servizi, Apple. Le autorità statunitensi intravedono la possibilità che questi soggetti, sulla base dei loro interessi e della loro posizione sul mercato, abbiano meditato di accordarsi per reprimere le tendenze più rivoluzionare del business dello streaming musicale sopprimendo le frange sgradite della concorrenza.

Del resto, le voci di corridoio emerse di recente sembrano avallare le preoccupazioni della autorità. Nei mesi scorsi Universal sembrava essere intenta ad orchestrare un piano per sbaragliare il modello di business freemium , tentando di convincere Spotify a transitare verso un sistema di soli abbonamenti, con Apple che sembrava voler essere della partita : non gestendo in prima persona l’advertising, contando sulla vastità di platee pronte a pagare senza troppe forzature, avrebbe avuto gioco facile nell’accontentare la major, magari in cambio di trattamenti di favore ed esclusive che potessero aiutarla a recuperare il terreno su una concorrenza che ha saputo muoversi in netto anticipo.

Nonostante il trionfalistico lancio di Apple Music, però, le esclusive di Apple non si sono affacciate sul palco della WWDC 2015, con le negoziazioni con le etichette che parrebbero ancora in alto mare. E nonostante le indiscrezioni suggeriscano la diffidenza delle major rispetto alle potenzialità del modello freemium, un colosso come Warner Music ha dichiarato pubblicamente la propria fiducia nei confronti del business in cui Spotify crede da tempo . In attesa dei fatti, le indiscrezioni non si possono considerare altro che ombre proiettate alle spalle delle prese di posizione ufficiali.

E, in questo contesto, nette si stagliano le affermazioni rese da Universal all’ attorney general dello Stato di New York, capaci di soddisfare le due autorità inquirenti: “UMG non ha al momento stipulato alcun accordo con Sony Music Entertainment o con Warner Music Group” e “non ha stipulato alcun accordo con Apple Inc. per ostacolare la disponibilità di servizi di streaming musicale gratuiti o supportati dalla pubblicità, o che limitino, impediscano o prevengano UMG dal concedere in licenza il proprio repertorio musicale a determinati servizi di streaming musicale, alle condizioni che UMG potrebbe dettare”. UMG assicura inoltre di non avere alcuna intenzione di stipulare accordi di questo genere in futuro, volti a “sopprimere la disponibilità per i consumatori di servizi di streaming musicale on demand o analoghi, gratuiti e supportati dall’advertising come quelli offerti da Spotify e YouTube”.

Le indagini proseguono, mentre le indiscrezioni continuano ad addensarsi su Apple Music e sul potere negoziale di Cupertino. Fra i no comment degli interessati, il nemico non dichiarato Spotify fa parlare i numeri : può contare su 20 milioni di abbonati e 75 milioni di utenti attivi, per un totale di 3 miliardi di dollari di royalty pagate ai fornitori di contenuti. E può contare su 526 milioni di dollari da investire per continuare la propria marcia.

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Pubblicato il
10 giu 2015
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