USA, DRM per legge nelle Università

USA, DRM per legge nelle Università

Lo chiede una proposta di legge, ispirata alla crociata dell'industria contro la distribuzione non autorizzata dei contenuti in rete. Le università insorgono ma Hollywood, ovviamente, applaude
Lo chiede una proposta di legge, ispirata alla crociata dell'industria contro la distribuzione non autorizzata dei contenuti in rete. Le università insorgono ma Hollywood, ovviamente, applaude

Gli atenei statunitensi ancora sotto scacco delle lobby di RIAA, MPAA e simili: una proposta di modifica della legge Higher Education Act del 1965 prova a mettere nero su bianco l’obbligo, per i campus che desiderino continuare a recepire fondi statali, di prevenire il file sharing con tutti i mezzi tecnici possibili , costringendoli nel contempo ad iscriversi a servizi di distribuzione legale dei contenuti sul genere di Napster .

La mazzata, ben nascosta in un disegno di legge di 747 pagine, si chiama Campus-Based Digital Theft Prevention , sezione 494 della proposta. Sponsorizzata e presentata dai parlamentari repubblicani George Miller e Ruben Hinojosa, la legge prevede l’obbligo per le università di informare gli studenti sulle politiche di contrasto all’infrazione del copyright in vigore nel campus. E, come accennato, legando a filo doppio lotta al P2P e finanziamenti pubblici .

Oltre a dover fare la paternale agli studenti, avvertendoli dei possibili rischi di denunce penali e civili in caso di download illegale, la sezione 494 obbliga gli istituti a fornire tecnologie alternative al file sharing , valutando nel contempo i mezzi più efficaci per tenere sotto controllo il network e bloccare talune tipologie di traffico, prendendo esempio da certi provider poco avvezzi al concetto di net neutrality .

La cosa che ad ogni modo lascia più perplessi è il fatto che la legge potrebbe costringere le università a sottoscrivere abbonamenti ai servizi di download legali, pena il vedersi negare le sovvenzioni necessarie per l’accesso all’istruzione da parte dei meno abbienti . Quello tra store dell’intrattenimento e atenei è un tipo di intesa in vigore già da tempo, un accordo che però che si è rivelato largamente fallimentare a causa del DRM e della scarsa portabilità dei contenuti disponibili. Senza considerare il fatto che molti download sono a scadenza, e smettono di funzionare una volta che lo studente-downloader si laurea o si trasferisce altrove.

Tra chi vede di buon occhio la proposta c’è naturalmente Dan Glickman, presidente e CEO di MPAA , che ne parla come di un passo positivo nella lotta al file sharing e snocciola numeri da capogiro sui presunti danni delle tecnologie di condivisione all’economia e al mondo del lavoro USA. “Siamo contenti che il Congresso si stia muovendo per aiutarci a mantenere solida la nostra economia proteggendo il copyright sui contenuti nei campus” dice Glickman, che non sembra dar peso alle ricerche più recenti secondo cui per l’economia USA il fair use e il riutilizzo libero da restrizioni di materiale protetto varrebbe più del copyright.

E le università come l’hanno presa? Malissimo, se si considera che l’associazione di categoria esprime in una lettera inviata al deputato George Miller tutta la propria contrarietà alla proposta, e la “profonda angoscia” per le sue conseguenze sul sistema educativo statunitense. Quella legge va rigettata , suggeriscono gli atenei, il lavoro sporco di trasformare gli utenti in criminali e la legge in occasione di persecuzione generalizzata degli internauti continuino a farlo i diretti interessati della questione, ovvero RIAA, MPAA e organizzazioni similari.

Cory Doctorow, ascoltata voce di Boing Boing , non usa mezzi termini: “così si riducono i politici che raccolgono fondi cavalcando gli interessi dell’industria – scrive – loro sono così in debito con i giganti malaticci dell’intrattenimento da essere pronti persino a negare l’accesso all’educazione dei college ai ragazzi con basso reddito qualora le università non puniscano chi ascolta musica e non decidano di buttare via i soldi in servizi inutili che nessuno vuole usare”. I deputati del Congresso che difendono gli interessi dell’industria sono noti, suggerisce infine Doctorow: vale la pena ricordarsi di loro in periodo di elezioni .

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 13 nov 2007
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