Verizon non ci sta, non seguirà AT&T sulla strada della rete sorvegliata da provider trasformati in vigilantes. “No way” dice l’azienda: per bocca del vice presidente esecutivo Tom Tauke esprime il proprio fermo rifiuto di agire come cyber-poliziotti , impegnati a mettere sotto pressione i loro stessi abbonati con l’aggravante di dover rispondere ai capricci desideri dell’industria multimediale.
Secondo quanto emerge da una chiacchierata con i giornalisti del New York Times , la privacy dei clienti è tra le principali preoccupazioni di Verizon: le società di telefonia hanno impiegato circa un secolo per tirarsi fuori dagli affari degli utenti, e ora il presunto obbligo di rituffarcisi perché le major non sono capaci di adattarsi ai cambiamenti tecnologici viene visto come una involuzione pericolosa per la stessa sopravvivenza degli ISP .
“Non ci piace pensare di dover esaminare i contenuti che scorrono attraverso i nostri network e dover agire di conseguenza”, spiega Tauke al NY Times , obiettando che una pratica del genere, una volta intrapresa, avrebbe delle ripercussioni pesanti sul ruolo stesso del provider .
Chi è che assicura a Verizon, una volta messi in piedi sistemi di controllo del traffico adeguati, che oltre alle major non bussi alla sua porta una folla multicolore di lobbisti di varia estrazione, tutti intenzionati a “mondare” la rete dalla pornografia, dai giochi d’azzardo e da tutte quelle attività che taluni considerano inappropriate?
A quel punto non sarebbe soltanto Hollywood a premere per fare pulizia in Internet, e la eventuale corresponsabilità nelle infrazioni del copyright – conseguenza sostanzialmente implicita della possibilità di conoscere alla perfezione che tipo di contenuti passano per l’infrastruttura dell’ISP – si trasformerebbe in un contraccolpo economico e legale senza precedenti per l’azienda.
Buon’ultimo ci sarebbe il “piccolo” particolare della privacy dei navigatori, sacrificata senza appello sull’altare dei diritti dei produttori , spazzata via dalla soppressione del giusto equilibrio che dovrebbe normalmente esistere tra la necessità di salvaguardare tali diritti e quello alla riservatezza dei consumatori. Che poi l’enorme incremento di traffico che la crescente popolarità del P2P porta come conseguenza sia una cosa negativa per i provider, dice Tauke, è l’ennesima frottola spacciata per verità di fede da AT&T.
Col P2P, dice l’azienda, “notiamo un sostanziale incremento del volume di traffico. In genere la consideriamo come una buona cosa. Abbiamo più consumatori che pagano per i servizi che forniamo” dichiara Tauke a riguardo. Certo, con il crescere delle esigenze di connettività crescerà anche la necessità per Verizon di aggiornare la propria infrastruttura, e in tal senso il dirigente spiega che la società potrebbe essere interessata a considerare nuovi tipi di tariffe “a consumo” , esattamente come sta sperimentando Time Warner Cable .
Tauke parla poi anche del caso Comcast , il provider ammazza-P2P sotto accusa negli USA che dovrà ora passare l’esame della FCC: “Se stanno in sostanza alterando i dati per alterare il messaggio – dice Tauke riferendosi alle tecniche di blocco del traffico P2P ampiamente documentate da EFF nei mesi scorsi – questo è ancora una volta l’inizio di un percorso che non ci conviene seguire”. Anche Comcast come AT&T ha toppato , e Verizon, assicura infine Tauke, non ha intenzione di risolvere gli eventuali problemi di congestione della sua rete telematica “restringendo il flusso di certi tipi di traffico”.
Alfonso Maruccia