Videogiochi come la droga?

Videogiochi come la droga?

Preoccupa in Oriente il fenomeno del multiplayer gaming online: in Corea i ?malati? sarebbero il due o tre per cento. Il mercato, però, non sembra preoccuparsene troppo
Preoccupa in Oriente il fenomeno del multiplayer gaming online: in Corea i ?malati? sarebbero il due o tre per cento. Il mercato, però, non sembra preoccuparsene troppo


Seoul (Corea del Sud) – Il multi-player gaming su Internet inizia a preoccupare diversi paesi asiatici. Gli analisti del settore, nonché i mass media, sembrano confrontarsi ogni giorno sempre di più con un fenomeno che, almeno da come viene descritto, sta trasformando gli appassionati in veri e propri drogati del videogioco . La Corea del Sud è rimasta colpita da quella che viene considerata l’ultima vittima di StarCraft , videogioco strategico-spaziale dal grande successo. Un ragazzo di 28 anni è deceduto per un attacco di cuore dopo aver giocato incessantemente per 50 ore , limitandosi a lasciare la postazione di gioco solo per qualche sonnellino e il bagno.

Secondo le ultime indagini di mercato, però, solo 1 o 2 per cento dei gamer online coreani soffrirebbe di reale dipendenza. Un dato che però ha allarmato lo stesso il Governo, che ha già in progetto di finanziare cure specializzate presso alcune cliniche e attivare un confronto con gli sviluppatori per la realizzazione di alert o sistemi che contengano l’intrattenimento smisurato.

Segnali che sono stati percepiti anche dalla Hanbit Soft , il distributore di StarCraft, già intenzionata ad organizzare incontri per sensibilizzare i videogiocatori sui possibili effetti collaterali del “gaming abuse”.

Va detto che non solo in Asia aumentano le preoccupazioni. Basti ricordare che già nel 2002 anche in Italia il SERT aveva messo in cura ben 12 hard-core gamer – definizione coniata per coloro che superano le 20 ore mensili di gioco. In Corea gli hard-core gamer rappresenterebbero almeno il 30 per cento degli appassionati, stando ai dati ufficiali. Le aziende del settore, comunque, hanno sempre voluto sottolienare che il campione rappresenta solo una minima parte della community, e che non si tratta di un fenomeno in espansione. Gli stessi legislatori non sembrano essere interessati ad intervenire duramente. Anche perché in Asia, secondo IDC, il mercato online dei videogiochi sta diventando economicamente sempre più strategico. Nel 2004 è stato stimato un fatturato di 1,1 miliardi di dollari ; la crescita media fino al 2008 sarà di circa il 19%.

Potrebbe trasformarsi in un boomerang politico intervenire nel settore: la Corea del Sud rappresenta il più grande mercato nell’area con 397 milioni di dollari fatturati nel 2004 . Al secondo posto l’arrembante Cina che, dopo aver scalzato Taiwan, ha toccato quota 298 milioni di dollari, sempre nel 2004.

Proprio il regime pechinese, apparentemente preoccupato dai possibili effetti della cosiddetta “dipendenza”, ha deciso di intervenire direttamente sullo sviluppo dei nuovi giochi, proponendo alle software house di limitare nei loro titoli il sistema di evoluzione dei personaggi basato sull’ esperienza . In pratica una delle principali motivazioni che spingono gli utenti a investire tanto tempo nelle sessioni di gioco: ogni azione operata dal proprio alter-ego incrementa i cosiddetti punti EXP, utili per migliorare le caratteristiche o acquisire nuovi poteri.

“Questo potrebbe bloccare i comportamenti di alcuni hard-core gamer, ma certamente non risolve tutti i problemi; si dovrebbe intervenire con misure diverse”, ha dichiarato Dick Wei, analista di JP Morgan .

Taipei , proprio come Pechino , ha deciso di non rendere possibile l’apertura degli Internet Café vicino alle scuole. Inoltre, i minori di 15 anni devono essere obbligatoriamente accompagnati e le strutture disporre di appositi cartelli che ricordano i possibili effetti collaterali alla vista e alle articolazioni per le troppe ore passate seduti. In Cina è invece vietato l’ingresso in questi locali ai minori di 18 anni.

Ma ogni iniziativa, comunque, non sembra essere presa troppo sul serio, visti i fatturati in ballo. All’inizio di settembre lo stesso esercito di Singapore aveva permesso ad un uomo di ritardare il servizio militare a causa di un suo impegno in un importante competizione di videogiochi. Se l’industria di videogiochi è strategica per il paese, la regola sembra essere quella di favorire in ogni modo l’interesse diffuso.

Il Giappone , pioniere del comparto, non pare soffrire particolarmente il problema dell’hard core gaming online, anche perché gli appassionati di videogiochi in media preferiscono consumare le proprie sessioni, con le console, in solitudine, a casa, e senza connettersi al Web. “Ci sono stati pochi casi gravi con le console, anche perché la tipologia di giochi disponibile è diversa; quelli online procedono in tempo reale e hanno bisogno di molto tempo”, ha spiegato Hirokazu Hamamura, presidente di Enterbrain, editore di una delle più importanti riviste giapponesi di videogiochi.

Square Enix , sviluppatore locale, comunque, ha deciso di inserire nelle confezioni alert cartacei per informare i clienti dei possibili effetti del troppo gioco. “E’ evidente che non si tratta di un problema legato a singole realtà, ma di una questione che nei prossimi anni riguarderà sempre di più l’intera community online”, ha dichiarato Yoichi Wada, alto dirigente della Compagnia. “In una società wired queste cose non potranno che succedere sempre; ma non possono essere risolte singolarmente dalle sole aziende coinvolte. Dovranno riguardare sia la società che l’intero settore”.

Qualcuno ha già intuito l’importanza del fenomeno dei videogiochi nella società, come la Michigan State University, che ha inaugurato un corso di laurea specialistico in “Game design and development” o la Notthingham University, che ha portato avanti ricerche sugli effetti benefici del gaming.

Dario d’Elia

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Pubblicato il
16 set 2005
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