Warner non vuole scorrere

Warner non vuole scorrere

Una delle Grandi Sorelle della musica dice di volersi chiamare fuori dai servizi di streaming musicale gratuiti. Incerto il destino dei tanti portali specializzati, ma Spotify rassicura: don't worry, be happy
Una delle Grandi Sorelle della musica dice di volersi chiamare fuori dai servizi di streaming musicale gratuiti. Incerto il destino dei tanti portali specializzati, ma Spotify rassicura: don't worry, be happy

Se i R.E.M. cantavano The End of the World as we know it già qualche decennio fa, il 2010 potrebbe davvero sancire il tramonto di un’era e nella fattispecie quella del web-streaming musicale gratuito. Warner Music Group, che dei R.E.M. possiede i diritti di una parte consistente della produzione musicale, ha espresso tutto il suo disappunto per un modello di business (quello dello streaming finanziato dalla pubblicità) che non macina quattrini funziona come vorrebbero le major.

“I servizi di streaming gratuiti non rappresentano evidentemente un utile netto per l’industria e per quel che concerne Warner Music non ci saranno licenze” ha dichiarato il CEO dell’etichetta Edgar Bronfman Jr. Gli utenti, continua il presidente di Warner, “prendono tutta la musica che vogliono gratuitamente” e la successiva rincorsa all’offerta di un servizio “premium” a prezzo maggiorato “non è il tipo di approccio al business che supporteremo per il futuro”.

Bronfman parla a margine della presentazione dei risultati fiscali del colosso della musica internazionale, i cui numeri non lasciano intravedere un miglioramento futuro per il settore. Se già la musica digitale “legale” non vende come vorremmo, questo in sostanza il messaggio che vuol far passare il dirigente, tanto vale evitare di perdere tempo con lo streaming così popolare tra le nuove generazioni di musicofili internettari e dedicarsi completamente ai servizi a pagamento con sottoscrizioni .

Per ora ci sono soltanto le dichiarazioni di Bronfman, ma la rete già comincia a fare i conti con le conseguenze dell’abbandono (a questo punto quasi certo) di Warner di servizi come Last.Fm, Pandora, Spotify, We7 e altri: il vasto catalogo dell’etichetta comprende vecchie glorie (R.E.M., The Grateful Dead, Metallica, Red Hot Chili Peppers, Frank Sinatra) e fenomeni recenti (Death Cab for Cutie), e l’inaccessibilità di tutti questi contenuti finirebbe inevitabilmente per portare verso la morte commerciale i servizi di cui sopra.

Tra le tante reazioni scatenate dalle dichiarazioni del CEO di Warner ci sono ovviamente quelle critiche di chi offre i servizi di streaming incriminati e alcune rassicurazioni sulla loro portata effettiva: il CTO di Pandora Tom Conrad dice che Bronfman si riferiva a Spotify e la sua azienda non avrà nulla a che fare con la cosa perché risponde a una struttura di licensing diversa, mentre per quanto riguarda il suddetto Spotify un messaggio su Twitter chiarisce che le parole del CEO di Warner sono state riportate fuori dal contesto e che l’etichetta non ha intenzione di abbandonare il servizio .

Il portale europeo è tra l’altro in procinto di aprire i battenti anche negli Stati Uniti, con la speranza che la “sostenibilità del modello finanziario” apprezzata da Universal solo una settimana fa non concluda anzitempo il suo corso commerciale per l’intransigenza anti-streaming che Warner dimostrerebbe di voler adottare. Fermo restando, a margine delle parole di Bronfman, che la direzione intrapresa dall’etichetta rischia secondo alcuni di accelerare il processo di invecchiamento delle major del disco e di spingere le platee verso quella tanto biasimata pirateria digitale che offre tutto, subito e nella maniera che gli utenti preferiscono.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il 11 feb 2010
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