WoW, il bot finisce in tribunale

WoW, il bot finisce in tribunale

Blizzard sostiene che i bot attentino all'esperienza di gioco e che mettano in fuga i player che credono nelle meritocrazia. L'autore del bot ribatte: Blizzard non ha le armi per sconfiggermi
Blizzard sostiene che i bot attentino all'esperienza di gioco e che mettano in fuga i player che credono nelle meritocrazia. L'autore del bot ribatte: Blizzard non ha le armi per sconfiggermi

I complessi equilibri che sostengono World Of Warcraft non possono essere alterati: il MMORPG deve essere epurato dai bari e da chi rende loro possibile barare. Il cheating scoraggia i giocatori che si intrattengono onestamente e fa sfumare i guadagni dei gestori dei MMORPG.

WoW, il bot finisce in tribunale - Glider Per questo motivo nel 2006, Blizzard, editore di World Of Warcraft, si era scagliata contro Michael Donnelly, autore del codice di Glider , un bot che agisce da gold farmer , che consente al player di abbandonare il proprio personaggio per giorni interi, sicuro di ritrovarlo sprizzante forza, e dotato di nuove abilità. In cambio di 25 dollari, a Glider si può commissionare l’ascesa del proprio personaggio delegandogli i compiti più ripetitivi, compiti che alienano i player amanti dell’azione.

Blizzard, dopo essersi rivolta a Donnelly per vie non ufficiali, aveva impugnato le armi legali e aveva denunciato il creatore di Glider . La minaccia di radiare i player scorretti dal gioco non era un efficace deterrente per diffidarli dall’uso del bot, proibito dalle condizioni di utilizzo del servizio alle quali i giocatori devono sottostare.

Per questo motivo Blizzard aveva studiato il funzionamento di Glider e aveva trovato il grimaldello della propria azione legale nel fatto che il bot violasse il copyright di World of Warcraft e il DMCA : Glider infatti aggirerebbe illegalmente le invasive protezioni anticheating previste dal MMORPG lanciando una copia non autorizzata dell’eseguibile di World Of Warcraft.

Il processo si trascina ormai da mesi, fra denunce e controdenunce. Entrambe le parti hanno ora richiesto che la corte si pronunci: Blizzard ha ribadito che Glinder viola il ToS, che viola il diritto di proprietà intellettuale, che turba l’andamento del gioco minando l’immersività e gli aspetti sociali dell’esperienza dei player e sconquassando l’economia in-game . Donnelly ha ribadito che Glider non si pone assolutamente in concorrenza con Blizzard, che il bot non viola alcune normativa, che il software non produce in alcun modo copie non autorizzate.

Ma Blizzard contrattacca quantificando i danni economici che Glider avrebbe inferto all’azienda. Il numero di abbandoni da parte dei player sarebbe sempre più consistente: non sono disposti a tollerare di doversi confrontare con giocatori che non si sudano le abilità che possono vantare. Ma non è tutto: i moderatori e i servizi di assistenza sono oberati di lavoro poiché devono fare fronte ai player che utilizzano il bot e i nuovi potenziali utenti preferiscono intrattenersi in mondi online in cui la meritocrazia continui a pagare. Blizzard si vedrebbe dunque scivolare dalle mani quasi 20 milioni di dollari l’anno , più di quanto Donnelly abbia guadagnato vendendo Glider, 100mila copie per 25 dollari a copia.

I gamer sono contrastati: c’è chi sostiene le ragioni di Donnelly, c’è chi ritiene che l’esperienza di gioco dovrebbe essere uguale per tutti. Ma i sentimenti e la passione non peseranno nella decisione della corte.

Gaia Bottà

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Pubblicato il 1 apr 2008
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