Roma – Ho alcune cattive notizie per quanti credono che il riscatto del paese in cui abitano, passi (anche) attraverso lo sviluppo di un ambiente tecnologico libero e sostenibile, basato in parte sul libero mercato delle telecomunicazioni ed in parte su un opportuno e illuminato indirizzo politico da parte del governo. Che è poi ciò che accade da qualche anno in molte nazioni occidentali, dagli Usa all’Inghilterra, dai paesi scandinavi alla Francia.
Dal Berlusconi delle “tre I” all’attuale governo Prodi che fin dai primi passi ha mostrato una qualche rinnovata sensibilità in materia, tutta la nostra classe politica sostiene e auspica da anni la centralità di ogni forma di innovazione tecnologica, plaude allo sviluppo di Internet, predica l’alfabetizzazione telematica attraverso cui il paese domani potrà competere ecc, ecc. Siamo però fino ad ora rimasti alle buone intenzioni.
Le cattive notizie dunque.
La settimana appena trascorsa è stata caratterizzata dalle schermaglie politico-finanziarie a margine del futuro di Telecom Italia. Ciò che a noi interessa oggi capire meglio è cosa sia accaduto (o meglio cosa sarebbe dovuto accadere) limitatamente all’annunciato scorporo della rete fissa Telecom: il punto centrale dello sviluppo tecnologico del paese nei prossimi anni.
Le cronache raccontano che Angelo Rovati, fidato consigliere finanziario del Presidente del Consiglio Prodi, qualche settimana fa abbia recapitato sul tavolo del Presidente di Telecom Marco Tronchetti Provera, una ipotesi di scorporo della rete fissa della compagnia, da molti considerato passo necessario all’apertura reale del mercato delle TLC in Italia. Ebbene, nonostante gli iniziali entusiasmi (il Governo vuole scorporare la rete! abbiamo pensato in molti) tale documento e le vicende che lo hanno circondato, sembrano molto deludenti e piene di cattive notizie.
Cattiva notizia n.1
Non solo i cittadini non contano molto nei processi decisionali della politica (già lo sapevamo, in effetti) ma nemmeno i partiti della coalizione e nemmeno le stanze deputate alla politica mostrano traccia della “conversazione” sul futuro della rete trasmissiva in Italia. L?amico e consigliere di Romano Prodi (sorvoliamo sulla barzelletta della dichiarata ignoranza di Prodi sull’intera vicenda) porta a Telecom un progetto di riordino della maggiore compagnia telefonica privata italiana, con tanto di loghi statali acclusi, e lo fa come se andasse a proporre una partita a canasta ai vicini di casa.
Curioso che nessuno degli alleati abbia trovato (in pubblico) nulla da ridire. Tutto sembra del resto rimanere sempre uguale in questo paese. Berlusconi riuniva il governo ad Arcore, Prodi sembra indirizzare le scelte più importanti della politica industriale del paese insieme ai 4 amici del bar.
Cattiva notizia n.2
Il documento contiene due ipotesi di scorporo della rete fissa di Telecom ma il Governo (o Rovati o la sua segretaria o il fidanzato della sua segretaria) caldeggia per qualche ragione la seconda delle due. La stessa rete che lo Stato ha regalato a Telecom al momento della privatizzazione dell’ex compagnia nazionale dei telefoni oggi potrebbe essere incastrata dentro un complicato progetto pensato sul modello già utilizzato per lo scorporo della rete elettrica.
Lo Stato parteciperebbe al 30% ad una nuova società quotata in borsa (quindi finanziata in buona parte con i soldi degli italiani) in grado domani di produrre utili per milioni di euro che andranno amichevolmente divisi fra Telecom, altri soci e la Cassa depositi e Prestiti. Si tratta di un progetto primariamente finanziario (ed anche un ritorno parziale ad un impegno pubblico dentro una società di fatto privata) pieno di incognite e centrato non tanto (come sarebbe stato auspicabile) sulla primaria necessità di scorporo della rete trasmissiva come presupposto per lo sviluppo del paese, ma sul salvataggio della italianità dell’unico gestore di telefonia mobile rimasto nella penisola, o più in generale della società stessa che naviga da tempo in brutte acque.
Dove sta allora la cattiva notizia n.2? La cattiva notizia è che il Governo (o chi per lui) mostra di aver più a cuore le sorti di un azienda privata (sulla quale in quanto tale nulla dovrebbe eccepire) rispetto a quelle più distribuite ed importanti di un interesse comune della nazione. Se così non fosse stato sarebbe bastato, com’era nei programmi di Prodi stesso e dell’Autorità Comunicazioni, imporre (e non proporre) la prima opzione contenuta nel documento Rovati (vale a dire la nascita di una società terza che gestisca la rete offrendo parità di accesso ad ogni operatore) disegnata sul modello vincente applicato da Oftel in Inghilterra nei confronti di British Telecom. Una ipotesi semplice, senza alcuna esposizione finanziaria per lo Stato e senza incertezze nel medio periodo, in grado di ribilanciare il mercato dell’accesso alla rete che oggi Telecom Italia gestisce in regime di sostanziale monopolio.
Se ciò non bastasse ce la vedete voi la Cassa Depositi e Prestiti gestire e dirigere una società tecnologica di accesso alla rete? Con quali competenze? Con quali esperienze? Aleggia il rischio di un nuovo inedito carrozzone statale.
Cattiva notizia n.3
Esiste una retorica usuale che troviamo citata sempre in situazioni del genere. Quella dei rischi per l’occupazione, per l’industria del paese, per le pressioni sindacali, perfino per l’orgoglio del marchio italiano nel mondo. Si tratta di argomenti spesso utilizzati per giustificare scelte vagamente protezionistiche quando non francamente antieconomiche.
Chi ragiona sotto l’impiccio di simili pesi desidera farci credere che il salvataggio della italianità di Tim è una missione politicamente rilevante, mentre invece il blocco decennale del mercato delle TLC in Italia in relazione al monopolio di Telecom tanto rilevante da un punto di vista politico non è. Senza malignare (lo si potrebbe fare facilmente in questi giorni) sulle ingerenze della politica nelle scelte industriali di aziende private, rimane da capire, oggi come altre volte in passato, se da qualche parte nei palazzi del governo esista un criterio che consenta scelte razionali e quantitative basate sull’interesse diffuso per la comunità, quello che si è sempre chiamato, con grande enfasi, “l’interesse del paese”. Perché se in quelle stanze un simile diagramma esiste, beh, deve essere stato appeso al contrario.
Resta il fatto che oggi l’operazione sembra tramontata nel peggior modo possibile. Telecom ha dichiarato che cercherà autonomamente soggetti disposti ad acquistare la propria rete trasmissiva e di fronte al “non sono stato informato” del Presidente del Consiglio ha malignamente estratto dal cassetto il progetto segreto di Angelo Rovati, come a dire “eccome se sapevi!”. Ma si tratta di un triste gioco delle parti. A parte il Governo o qualche sua parte più o meno doppiogiochista, non vedo francamente chi potrebbe essere interessato ad un simile acquisto, sottoposto com’è alle medesime forche caudine della futura possibile parità di accesso a soggetti terzi. Sarebbe un po’ come comprare una casa senza sapere di aver invece acquistato una multiproprietà.
Poi di che rete stiamo parlando? Perché anche questo è importante. Stiamo discutendo dei doppini in rame sui quali Telecom negli ultimi anni non ha speso un soldo o di tutto l’insieme che va dalle apparecchiature dentro le centrali fino al domicilio degli utenti? Insomma si tratta di una partita complicata che lo Stato ha certamente giocato malamente. Delle altalenanti scelte di Telecom che da domani ha deciso di trasformarsi in media company, francamente non ci importa troppo, ma di come questo paese prepari la propria ulteriore precipitazione nelle classifiche mondiali dell’innovazione tecnologica, beh di questo francamente ci importa. E ci dispiace.
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