Diritto d'autore, quale futuro per gli autori?

Diritto d'autore, quale futuro per gli autori?

Un botta e risposta tra lo scrittore Vittorio Catani e il presidente ADUC Vincenzo Donvito sulla questione vitale dello "scontro" tra vecchi e nuovi modelli di attività nell'era digitale
Un botta e risposta tra lo scrittore Vittorio Catani e il presidente ADUC Vincenzo Donvito sulla questione vitale dello "scontro" tra vecchi e nuovi modelli di attività nell'era digitale


Web – Pubblichiamo di seguito un breve ma intenso botta e risposta tra lo scrittore Vittorio Catani e il presidente dell’associazione ADUC Vincenzo Donvito, nato da un editoriale di quest’ultimo pubblicato su queste pagine nei giorni scorsi.

“Salve! Leggo solo ora l’articolo Diritto d’autore, mandiamo a casa la SIAE a firma di Vincenzo Donvito, Presidente dell’Aduc – Associazione per i diritti degli utenti e consumatori.

La mia lettera non verte sul tema SIAE, né sulla liceità di copiare musica con MP3: da questo punto di vista ben vengamo questi software, occorre dare uno scrollone come si deve ai monopoli della musica.

Ma onestamente in quanto scrittore che, per scrivere, è stato costretto per tutta la vita anche a fare un altro lavoro di otto ore giornaliere, prima di giudicare se la “morte” del diritto d’autore è cosa buona o meno, vorrei capire che risposta “chiara” deve darsi a una domanda semplicissima. Chissà che questa risposta non mi arrivi proprio dal signor Donvito.

La domanda è: il lavoro va retribuito o no? Se va retribuito, perché non deve esserlo anche quello di chi scrive? Per scrivere un romanzo ci vogliono mesi. O lo scrittore è una entità evanescente che si ciba solo di idee e vive di fantasie? O forse scrivere è realmente un mestiere “maledetto” per natura, per cui non si può essere veri scrittori (cioè scrittori a tempo pieno) ma solo scribacchini che si arrabattano nei giorni festivi, nelle ferie o durante le ore notturne?

A meno che non si voglia riprendere la vecchia idea del lavoro intellettuale inferiore a quello manuale… In epoca di computer, non penso proprio.

Già. allo scrittore sono sempre andate le briciole, un 5-7% (quando va bene), visto che i guadagni si dividono tra editore e distributore. Vogliamo togliergli anche questo? Oppure quando si parla di morte del diritto d’autore, non ci si riferisce al compenso, sia pure simbolico, che spetta a chi ha svolto l’esecrabile (parrebbe) lavoro di scrivere?

Saluti, Vittorio Catani
(La risposta di Vincenzo Donvito in seconda pagina)


Gentile amico,
le preciso che non ho certezze sulla materia, ma dubbi, e giganteschi, che mi hanno fatto fare quelle domande che hanno stimolato le sue considerazioni.

E, prima di tutto, cerco di far nascere questi dubbi anche in altri. Lei ammette -con queste sue parole – la “liceità di copiare musica… occorre dare uno scroccone come si deve ai monopoli della musica …”. Perché questo non dovrebbe valere anche per la sua opera d’ingegno? La musica di quelli che lei chiama monopoli e la sua attività di scrittore, si basano entrambe sul diritto d’autore.

Esiste forse un diritto d’autore buono e un altro cattivo? E ‘ difficile, nella sua posizione, esprimere un giudizio, perché la preoccupazione prevale e il suo esempio suona proprio come quello del mio precedente scritto: i maniscalchi che difendono il loro lavoro boicottando i produttori di motori a scoppio.

Anch’io potrei rivendicare altrettanto, perché l’attività che svolgo (editoriale) non è scevra da diritto d’autore, ma ho impostato diversamente il profitto della mia produzione: lo faccio nascere dal cercare di essere dovunque, a costo zero per chi lo usa, ma dicendo che sono io, e questo paga.

Che poi, né più né meno, è quello che fanno in rete molti “distributori” liberi (Linux, forse, oggi è il piu’ importante, ma non ne sono scevri – a loro modo e con le dovute differenze, e limitatamente allo specifico uso – i browser Netscape e Microsoft Explorer).

Sa dov’è la differenza? Tra un profitto che nasce dallo sviluppo di un’idea o di un’opera d’arte, e il profitto che nasce dalla staticità delle stesse. Io credo che l’esempio Napster – e sostanzialmente tutto il modo di essere di Internet – ci stia portando verso questo “profitto dello sviluppo” contrapposto allo “sviluppo statico”. Il concetto e la pratica del diritto d’autore nascono nel 1851, quando si andava a cavallo e ci voleva una settimana per andare da Firenze al Louvre di Parigi per vedere una particolare opera d’arte. Ma quella stessa opera d’arte oggi, in pochi secondi, è con noi nella nostra stanza. Il contesto è cambiato, perché non deve essere modificato anche ciò che crea questo contesto?

Se i mezzi sono funzionali al fine, e i mezzi sono dinamici, siamo proprio sicuri che il fine deve essere statico? Ora andiamo nella filosofia… Ma finisco con una sola domanda. Siccome l’alternativa è chiudere Internet o far sì che sia gestito da un Grande Fratello Mediatico, lei è disposto a questo per mantenere il diritto d’autore? Se no, qualcuno dovrà pure pagare (i maniscalchi..), e questa volta è toccato a lei.

Un saluto,
Vincenzo Donvito
Presidente di ADUC , associazione per i diritti degli utenti e consumatori.

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Pubblicato il 4 ago 2000
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