Le major verso la sopravvivenza?

Le major verso la sopravvivenza?

di L. Assenti - Le ultime mosse delle grandi della musica abbracciano il digitale. Non del tutto, non nel modo migliore, ma per una volta invece di aggredire cercano un'intesa. L'alba di un nuovo corso
di L. Assenti - Le ultime mosse delle grandi della musica abbracciano il digitale. Non del tutto, non nel modo migliore, ma per una volta invece di aggredire cercano un'intesa. L'alba di un nuovo corso


Roma – Sollevano grande attenzione e qualche sorriso le ultime iniziative online delle grandi case discografiche, quelle stesse che da anni combattono la rete con ogni mezzo, trascinando in tribunale manciate di utenti del peer-to-peer. Essì, perché nel giro di pochi giorni tre delle grandi sorelle della musica hanno dato il via libera a Peer Impact , singolare approccio al P2P, e Universal ha persino creato un’etichetta dedicata alla musica web.

Peer Impact è il nome evocativo di un giochino messo su dalla Wurld Media , curiosa ragione sociale di un’azienda a suo tempo giunta agli onori delle cronache perché considerata da qualcuno la mamma di un noto spyware , uno di quei programmini che si infilano surrettiziamente nei computer per raccogliere informazioni, in quel caso sulla navigazione dell’utente.

Questa volta, Wurld Media ha puntato molto più in alto riuscendo a catturare l’attenzione di grossi calibri come Sony BMG, Universal Music e Warner Music , ossia le aziende che da sole controllano gran parte del mercato mondiale della musica. Wurld ha preso questi nomi e li ha affiancati al concetto di peer-to-peer senza tirare in mezzo i tribunali. Come ha fatto?

L’idea di Peer Impact è quella di creare un ambiente nel quale gli utenti che vi accedono possano scambiarsi tutta la musica messa a disposizione da questi big , possano comprarla a prezzi contenuti scambiandola l’un l’altro, nonché acquistare i corrispondenti video musicali ed altri materiali, con la garanzia che per ogni file condiviso autori e produttori vengono compensati . Il tutto, come dicono i suoi promotori “con la musica immersa in tecnologie di Digital Rights Management”.

E’ giustissima l’obiezione di chi fa notare che un ambiente del genere non solo costringe a pagare , cosa che non tutti gli utenti del peer-to-peer oggi sembrano disposti a fare, ma anche che in Peer Impact vi si troverà soltanto la musica decisa dalle major , quando invece una parte importante del fascino del file sharing fin dai tempi di Napster è stato quello di consentire agli utenti di venire in contatto con molti diversi generi musicali o artisti mai conosciuti prima, di “scaricare per esplorare”, come narrava un celebre motto.

Ma sono obiezioni che devono tenere conto di una grossa novità , quella che vede le major sempre più impegnate a venire a patti con gli utenti. Non è detto che vi riescano ma i primi passi li stanno facendo. A conferma di questo basti pensare che soltanto all’inizio di novembre Sony BMG ha stretto un patto col Diavolo , ossia con la società del P2P Grokster, per realizzare un ambiente di “condivisione legale”. D’accordo, soffrirà degli stessi limiti di Peer Impact, ma anche quello testimonia il nuovo corso delle major.

Come se non bastasse, nelle scorse ore Universal, che è la maggiore delle grandi, ha dato vita ad un progettino semplice semplice ma importante importante. Si tratta di Universal Music Enterprises Digital . Questa sigla nasconde un’etichetta che prenderà su di sé una manciata di artisti semisconosciuti al grande pubblico, alcuni dei quali già con un qualche seguito in rete, offrendo loro la possibilità di una distribuzione esclusivamente digitale . In questo modo gli autori mantengono i diritti sulle registrazioni originali della loro musica e ricevono una quota del 25 per cento su ogni download venduto dei propri pezzi, naturalmente commercializzato attraverso i grandi jukebox della rete, come l’ iTunes di mamma Apple. Non solo, se le vendite supereranno una certa quota, Universal potrà giocare il jolly e pubblicare un CD con la musica degli artisti coinvolti nel mondo digitale .

E forse è questa la via per le major che vogliano riscrivere le proprie configurazioni ed adattarsi all’ampiezza e alle caratteristiche dell’online. In questo modo infatti non solo abbattono i prezzi della selezione degli autori che “tirano” e della loro promozione, ma potrebbero anche riuscire ad interporsi tra autori e utenti , ritagliandosi con le proprie risorse il ruolo di intermediari in un mondo, quello internet, che sembra fatto apposta per distruggere le intermediazioni.

Se poi questi primi tentativi naufragheranno, non esultino coloro che vogliono a tutti i costi la fine del business tradizionale. Le risorse della major sono impressionanti, arrivano da decenni di profitti stellari con il vinile prima e il supporto ottico dopo, e le loro opzioni ora sembrano moltiplicarsi.

Lamberto Assenti

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Pubblicato il 26 nov 2004
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