Web – Di tutte le rivoluzioni che quotidianamente annunciano le aziende informatiche, nella speranza che qualcuno ancora ci creda, lunedì 26 novembre 2000 alle 20:59 ne è accaduta una piccola e silenziosa ma significativa. L’ora e il giorno sono quelli che riguardano me; a qualcuno sarà successo prima, o dopo, ma non importa.
Sta di fatto che rientravo a casa dal lavoro ascoltando una radio qualunque, diciamo Centouno, quando è partito lo spot pubblicitario di una qualsiasi produttrice di stampanti, diciamo Epson .
La voce narrante aveva a disposizione non più di una manciata di secondi per convincere il pubblico e doveva quindi limitarsi alle cose importanti. Quelle che fanno vendere, quelle che serve dire, quelle che convincono.
Tra quelle poche importanti cose c’era, testualmente, “compatibile PC e Mac”. Sembra una sciocchezza, ma è una rivoluzione. Sotterranea e silenziosa, ma è una rivoluzione, perché finora non era praticamente mai accaduto che nei pochi secondi di un annuncio radio si magnificasse la completezza di un prodotto in fatto di piattaforme.
Per Epson vendere stampanti compatibili Mac è un fatto importante, da pubblicizzare, che presumibilmente contribuisce in misura apprezzabile al suo fatturato. Probabilmente questo piccolo innocente spot segna l’inizio della fine di un’epoca storica, nella quale Mac era il “prodotto di nicchia” da supportare quando proprio non se ne poteva fare a meno, oppure da dimenticare del tutto, in una forma di cecità che tuttora affligge ancora qualche azienda.
Ci sono molti meriti da attribuire: ad Apple, che ha avuto l’intelligenza di adottare specifiche hardware trasversali come Usb e, nel caso specifico, addirittura di trascinarsi dietro l’intero mercato Wintel, che di Usb – peraltro invenzione Intel – non ne voleva sapere, per quella sorda resistenza al cambiamento e al progresso che impera là dove l’unica cosa che conta è ridurre i costi al minimo, senza curarsi della qualità.
L’altro merito va ovviamente a Epson, che ha scelto positivamente di fornire un vero servizio al mercato, dove servizio significa soddisfare tutti i clienti e non solo una fetta, tanti o pochi che ne contenga.
E ancora ovviamente altro merito va al pubblico, che cresce e matura. Per un numero sempre maggiore di persone “computer” non è più sinonimo di “Wintel”, come “stereo” non è sinonimo di “Panasonic”.
La diversità di piattaforme implica una maggiore libertà di scelta per gli acquirenti e questo è un bene per l’intero mercato, mica solo per chi sceglie Apple. Mi auguro quindi che il trend inaugurato da Epson continui e cresca, nell’interesse di tutti.
Sarebbe anzi ora, sempre nel loro interesse, che le aziende costruttrici di computer Wintel prendessero una decisione solo in apparenza svantaggiosa e si liberassero della gabella cui li obbliga Intel. Il motivo per cui, nei loro spot, si sente sempre il jingle sonoro del fabbricante di processori è uno e chiaro: Intel paga una parte dello spot.
Ogni costruttore pensa di risparmiare soldi e invece fa pubblicità a Intel come tutti i suoi concorrenti, senza guadagnare alcuna posizione rispetto agli altri e anzi omologandosi pesantemente, in quello che a tutti gli effetti è uno harakiri di marketing. Inutile urlare di più se tutti urlano di più. E quando le cose andranno male (come ogni tanto succede ed è successo, per esempio recente a Packard Bell) mamma Intel non muoverà un dito.
L’ironia è che poi la gran parte di queste pubblicità sono realizzate con Mac. Il celebre spot televisivo in cui si volava dentro un Pentium è stato addirittura realizzato su un vecchio Quadra . Questa è un’altra storia e certamente non è di quelle che fa vendere. Però saperlo e poterlo dire è una forma di pubblicità appagante. Almeno per me.