Microsoft: la PA italiana torni ad investire

Microsoft: la PA italiana torni ad investire

Qual è il rapporto della maggiore softwarehouse con la PA italiana? Come vive le pressioni dell'open source? Su quali settori punta per conquistare quote di mercato? PI intervista Giovanni Stifano di Microsoft Italia
Qual è il rapporto della maggiore softwarehouse con la PA italiana? Come vive le pressioni dell'open source? Su quali settori punta per conquistare quote di mercato? PI intervista Giovanni Stifano di Microsoft Italia

Roma – Si apre in queste ore il Forum PA , un’occasione per la Pubblica Amministrazione di avvicinare, ed essere avvicinata, dai produttori di tecnologie. In prima fila c’è ancora una volta Microsoft , uno dei più importanti produttori di software utilizzato nelle PA centrali e locali e il cui ruolo proprio in questo campo qualcuno vorrebbe ridimensionare , ritenendo in particolare che il software proprietario non garantisca istituzioni e cittadino.

Dopo aver raccontato le molte iniziative in Italia a favore di sistemi e software alternativi e in particolare open source, Punto Informatico ha incontrato Giovanni Stifano , direttore Public Sector di Microsoft Italia, con il quale abbiamo parlato dei temi più caldi del rapporto tra PA e innovazione e tra la stessa Microsoft e l’open source. Ecco come la vede Microsoft.

Punto Informatico: Tra le proposte che insieme a Dell presenterete qui al Forum PA vi sono i molti servizi che immaginate per quella che avete definito “Città Digitale”. Ma qual è l’attenzione della PA per questo genere di tecnologie che spaziano dalla Didattica alla Sanità?
Giovanni Stifano: A differenza di certi luoghi comuni, non è vero che la Pubblica Amministrazione non sia attenta all’innovazione, anzi guarda con attenzione alle novità tecnologiche.

PI: Non sempre sembra averlo fatto…
GS: Forse fino a qualche anno fa era così ma passi avanti ne sono stati fatti molti, è cresciuto il livello di maturità. Un ruolo in questo senso lo hanno giocato società strumentali, come Consip , aziende pubbliche che sono uno strumento per l’innovazione e la diffusione delle tecnologie informatiche nella PA. Al di là delle polemiche, che pure ci sono state, queste aziende hanno avuto un ruolo di acceleratore soprattutto a livello della PA centrale. Anche il CNIPA ha fatto un buon lavoro.

PI: Siete uno dei maggiori fornitori informatici della PA, quali sono questi passi in avanti?
GS: Il maggiore valore è stato dar vita a nuove competenze, nuove professionalità, e poi l’impulso a scambiare esperienze tra le diverse amministrazioni, fare una virtù della necessità di interoperare. È cambiato il loro modo di relazionarsi, con processi interdivisionali e all’interno delle amministrazioni.

PI: Però le imprese del settore IT non sembrano del tutto soddisfatte, a guardare ad esempio l’ultimo rapporto AITech-Assinform in materia
GS: Dell’ultimo quinquennio il momento attuale è quello più difficile per il crollo degli investimenti, il problema ora è proprio il taglio della spesa informatica.
L’auspicio è che la nuova coalizione di governo stabilisca livelli di investimento coerenti con la necessità di innovazione, non basta una roadmap, bisogna finanziarla. Se si vuole un’automobile occorre anche spendere per metterci la benzina.

PI: È una situazione così pesante?
GS: Se ci limitiamo alla Pubblica Amministrazione, dove gli investimenti sono più facilmente quantificabili che nel complesso delle attività IT italiane pubbliche e private, il budget ICT nella PA centrale è sceso del 35 per cento, compensato solo in parte dall’aumento degli investimenti nelle amministrazioni locali, pari a circa l’8 per cento.

PI: Uno dei temi caldi sul tappeto è il rapporto della PA con l’ open source . Nel tempo sono molti i Comuni, ad esempio, che hanno fatto voto di particolare attenzione alle soluzioni a codice aperto. La vedete come una concorrenza da battere? Qual è l’atteggiamento dei vostri interlocutori istituzionali su questo fronte?
GS: Occorre fare una premessa. Al contrario di quanto affermano i nostri detrattori, non siamo qui ad alimentare guerre di religione, noi siamo sul mercato e il nostro è un atteggiamento pragmatico. Non siamo contro l’open source, semmai siamo contro la sua strumentalizzazione.

PI: Cosa intende?
GS: Ci sono luoghi comuni che si sentono ripetere spesso in cui si confonde il Riuso con l’open source, il free software con l’open source… E lo dimostra il fatto che molte iniziative open non nascono all’interno dei laboratori e dei sistemi informativi delle amministrazioni locali ma sono il parto di singoli consiglieri di giunta, regionali o comunali.
Di fatto sono iniziative politiche che di pratico non hanno molto, spesso si giustificano agitando la bandiera dell’economia locale, facendo riferimento a questo fantomatico modello di business secondo cui l’open source porta ad un maggiore sviluppo economico locale.

PI: In sostanza, non lo vivete come un concorrente
GS: I nostri competitor hanno nomi ben precisi e sono i grandi produttori di software che operano sul mercato. Quando ci confrontiamo con il mercato abbiamo il massimo rispetto dei nostri competitor. Non considero concorrenti dei proclami spesso troppo facili e demagogici. Ma una cosa è ovvia: se il modello open source si dimostrasse capace di creare un ecosistema di produttività e sviluppo come fa Microsoft, o di dar vita ad una catena del valore come accade nel mondo commerciale creando anche valore per l’economia locale allora sì, quando fosse così ci relazioneremmo con queste realtà. PI: Uno dei nodi dell’innovazione in ambito pubblico per tutti gli attori del mercato e soprattutto per il Governo è quella legata alle scuole. E se ne parlerà anche in questi giorni al Forum PA. Come vi state muovendo su questo fronte?
GS: Siamo orgogliosi di aver lanciato un ampio programma quinquennale insieme al MIUR , il ministero dell’istruzione, che si chiama Partners in Learning , un insieme di iniziative pensate per facilitare l’accesso e la diffusione delle tecnologie. All’interno vi sono programmi di formazione per formatori, dove le scuole diventano IT academy nelle quali si formano i docenti, che poi formano gli studenti. Insieme, formano altri network di persone e professionalità in altre scuole.
Ma poi ci sono altre cose, come Progetto Docente o Apprendere in rete , che hanno dato vita a community molto importanti.
È sull’aspetto didattico che stiamo investendo maggiormente, dai learning gateway al class service per l’apprendimento individuale e di gruppo e la collaboration. Fino a Windows Live per le scuole o a MSN University.

PI: Di cosa si tratta?
GS: Tende a dare la posta elettronica a tutti gli studenti degli atenei senza gravare sull’ateneo stesso con le problematiche di gestione, l’hosting e via dicendo. Spesso sono questioni che portano alcune università a non fornire questo genere di servizi. Sono web services già attivi presso l’Università del Sannio o la Marconi, altri contatti sono in corso.

PI: Accennava prima al Riuso del software nella PA, di cui si è molto parlato nella passata legislatura. Ma il fatto che le PA possano “passarsi” il software per voi rappresenta un’opportunità di mercato o mancate vendite?
GS: Vorrei sottolineare che la prima vera iniziativa in termini di Riuso l’ha lanciata in Italia proprio Microsoft insieme alla Regione Lombardia con il Portale del Riuso . E si tratta di un’opportunità: sbaglia chi confonde il Riuso con l’open source. Il Riuso si riferisce all’aspetto applicativo, è cioè una modalità che la PA può tenere in considerazione per migliorare la propria efficienza, niente di più e niente di meno. Microsoft poi non vende direttamente: se parliamo di software custom sviluppato ad hoc, che integrano Office o altre piattaforme, sono prodotti dei nostri partner, loro ne sono direttamente interessati e anche a loro è rivolto quel portale.

PI: C’è chi parla della necessità di una legge organica sul Riuso del software nella PA
GS: Quella del Riuso è un’opportunità. Non condivido l’idea che certe cose vadano normate dal punto di vista legislativo. Spesso piccole novità legislative portate avanti in questo senso creano grossi guasti all’ecosistema della produttività: imporre il Riuso, ad esempio, costringerebbe ad agire in un certo modo sia la PA che se ne vuole servire sia quella che non intende farlo, con conseguenze dirette sui fornitori della PA. In questi casi è il mercato che deve trovare da solo, sulla base delle esigenze di chi investe, i propri equilibri.

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il 8 mag 2006
Link copiato negli appunti