NoLogo/ E se le multinazionali cambiano rotta?

NoLogo/ E se le multinazionali cambiano rotta?

di Mafe de Baggis - Non saranno mai buone ma saranno sempre furbe, quel che serve per capire quando un codice etico non basta più, che per vincere sul mercato bisogna essere etici davvero, e poterlo provare. E Internet dà una mano. A tutti
di Mafe de Baggis - Non saranno mai buone ma saranno sempre furbe, quel che serve per capire quando un codice etico non basta più, che per vincere sul mercato bisogna essere etici davvero, e poterlo provare. E Internet dà una mano. A tutti

Milano – C’è chi ha fatto il ’68 (non c’ero), chi la Pantera (dormivo) e chi i movimenti no global (ero in prima fila). Non a caso questa rubrica è intitolata a un libro ( No Logo di Naomi Klein ) che è stato il manifesto ispiratore delle proteste contro le multinazionali e la globalizzazione: poi è arrivata Google e ha provato a dire ” Don’t Be Evil ” come motto aziendale, in un certo senso inaugurando una generazione di aziende che non si sono limitate ad affermare pomposi concetti di responsabilità etica, ma a incorporarli nei prodotti, nelle pratiche, nel modo quotidiano di lavorare.
Difficile non essere scettici, ma in questa mia versione di No Logo, dedicata al marketing digitale, la scelta è stata di mettere in luce i comportamenti positivi delle aziende quando li troviamo, tanto quelli negativi sono sotto gli occhi di tutti. Raccontare le storie di corretta interpretazione della rete da parte delle aziende, aiutarle a capire quando l’interpretazione è sbagliata: Naomi Klein non apprezzerebbe e molti di voi sono con lei, ma viviamo tempi interessanti e non mi piace guardare la realtà da una parte sola.

Quando un paio di settimane fa sono stata invitata a un sempreverde “meet the bloggerZ” dalla divisione “Cosmetique Active” dell’Oreal l’istinto di presentarmi avvolta da una bandiera della pace e vestita di foto di crudeli esperimenti sugli animali è stata abbastanza forte. Una cosa è entrare in azienda perché pagata per farlo (è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo), un’altra accettare un invito sabato a pranzo per “chiacchierare di cosmetici”. Dopo un paio d’ore (e tanti tramezzini) sono uscita pensando che forse i movimenti no global sono finiti sullo sfondo perché i contenuti espressi dalle proteste sono entrati in azienda e ne hanno modificato le strategie in senso profondo. Le multinazionali non sono e non saranno mai “buone” ma sono e saranno sempre furbe, e in questo caso la furbizia consiste nel capire che un codice etico non basta più, che per vincere sul mercato oggi bisogna essere etici davvero, e poterlo provare.

Come ha sintetizzato Auro durante la discussione “dovete darmi la libertà di comprarvi”, senza dovermi preoccupare di quante persone sono state sfruttate, quanti animali torturati, quante popolazioni oppresse per portare in negozio quel tubetto di crema. Per una volta sono rimasta sorpresa dall’apertura, la trasparenza, la sincera voglia di ascoltare e di capire e soprattutto dalla capacità di ammettere i propri errori. Ho imparato che scrivere “non testati sugli animali” sui cosmetici è una presa per il culo, perché testare i cosmetici sugli animali è vietato dal 1986 , mentre testare i principi attivi è obbligatorio per legge, e quasi tutti stanno cercando di farlo in vitro. Per saperlo sono dovuta andare un sabato pomeriggio in una multinazionale, perché le multinazionali non sanno più come raccontarci quando hanno ragione, tanti torti hanno accumulato, e stanno prendendo la strada lunga: identificare le persone attive in rete (non solo sui blog, ma anche sui forum), parlare con loro, non chiedere niente.

Viviamo tempi interessanti, ve l’ho detto.
Tempi in cui, per esempio, Patrick Tescau, il CEO di Unilever, quando Greenpeace ha denunciato che usare olio di palma per le saponette Dove contribuisce alla deforestazione in Indonesia, non ha detto “avete ragione, adesso cerchiamo di capire come sostituirlo”, ma ” avete ragione, adesso usiamo solo olio proveniente da fonti sostituibili “. Adesso tocca alle altre multinazionali coinvolte, ma la strada presa da uno non permette a terzi di far finta di niente senza seri danni di immagine.

Un po’ come quando a gennaio parlavamo di data portability e dell’impegno di Google, Facebook e Plaxo di permettere l’esportazione delle buddy list da un social network all’altro: dalle intenzioni ai fatti, in pochi mesi siamo arrivati a Google Friend Connect , che permette appunto di eliminare le barriere tra social network. Di questo e soprattutto del Buzz Targeting di YouTube/Google parleremo quando si capirà meglio di cosa si tratta, giusto perché fidarsi è bene, controllare è meglio;-)

Mafe de Baggis
Maestrini per Caso

Tutti i NoLogo di MdB sono disponibili a questo indirizzo

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Pubblicato il 16 mag 2008
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