Torvalds, il rivoluzionario si diverte

Torvalds, il rivoluzionario si diverte

di Valerio Di Stefano. La divertente autobiografia dell'uomo che inventò Linux riserva ben più di qualche sorpresa. Piccolo viaggio tra le righe
di Valerio Di Stefano. La divertente autobiografia dell'uomo che inventò Linux riserva ben più di qualche sorpresa. Piccolo viaggio tra le righe

Roma – E’ uscito la settimana scorsa per i tipi di Garzanti il volume “Rivoluzionario per caso (come ho creato Linux, solo per divertirmi)”, l’autobiografia di Linus Torvalds scritta a quattro mani assieme a David Diamonds, nella traduzione di Fabio Paracchini, 29000 lire, rilegato in puro stile magazzino di Amazon.com – non si fanno più i libri di una volta e nemmeno la loro carta ha più lo stesso odore!:-)

Pur non essendo stato fatto precedere da un battage pubblicitario particolarmente pressante (meno male, segno che c’è ancora chi scrive per il puro gusto di raccontare e di raccontarsi e chi legge per il puro piacere di stare a sentire ciò che qualcun altro ha da dire), sta già ottenendo un buon successo in libreria e si presenta, pur nei limiti del target di pubblico a cui si dirige, come un vero e proprio “caso” editoriale.

Linus Torvalds Non soltanto perché si ha a che fare con l’autobiografia del creatore del sistema operativo che sta maggiormente impensierendo (che lo si dica o no) lo strapotere della Microsoft, ma anche perché il risultato finale risulta di piacevole lettura, permeato da un senso dell’umorismo a volte non troppo condivisibile ma certamente incalzante e omogeneo, e risulta godibile per come è strutturato (mentre Torvalds racconta la sua storia – come sono arrivato a Linux -, Diamond racconta la storia del libro come siamo arrivati alla decisione di scriverlo, in un piacevole alternarsi di giochi di scatole cinesi) e per una scrittura veloce ma non telegrafica.

E altro non c’era da aspettarsi, trattandosi di Linus Torvalds, personaggio senza dubbio divertente, interessante, fuori dagli schemi e dalle righe di un conformismo infotelematico che senza dubbio gli risulta stretto come il vestito di due o tre anni fa. Va detto, tra l’altro, che l’autobiografia non è l’unica esperienza editoriale di Torvalds in Italia, considerato che, contemporaneamente, è uscito per Feltrinelli “L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione” di Pekka Himanen, cui Torvalds ha scritto la prefazione (il titolo è un riuscito divertissement sul famoso saggio di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”).

Anche da una lettura di pura fruizione come la mia, appare subito chiaro che esiste, in ciascuna delle pagine di Linus, un sostanziale amore per le cose e per la “cosa” informatica in particolare. Anche quando ci parla della sua famiglia di origine, dell’ambiente in cui è nato, cresciuto e vissuto, Torvalds permea il suo periodare di un evidente tono affettivo che non calerà neanche davanti alle situazioni più difficoltose o spiacevoli (la separazione dei genitori, il rapporto con la sorella “colpevole” di non capire, se non a cose ormai fatte, che il lavoro del fratello smanettone è stato effettivamente apportatore di novità e che novità!!) e alle circostanze più imbarazzanti (la candida ammissione di non aver mai letto neanche un libro scritto dal nonno, poeta e giornalista).

Quando non è presente questa affettività, è presente l’autoironia. Particolari solo apparentemente insignificanti (“Ero un brutto bambino. Cosa ci posso fare?”) strappano una risata al lettore e fanno sì che più che l’evoluzione del genio che ha passato giorni e giorni della propria vita chiuso in una stanza a creare un sistema operativo, si parli della conversione del brutto anatroccolo in cigno. In breve, una storia finita bene, una favola, se si vuole. Con tutti gli ingredienti della favola, soltanto applicati al contrario, come l’incontro con la moglie Tove che sfaterà l’incantesimo dettato dal primo giudizio della mamma: “Guardandolo crescere non potevo non pormi una domanda: messo com’è, come diavolo farà ad incontrare una ragazza carina?”, e l’esperienza della creazione e della messa in circolazione delle prime versioni di Linux e dello straordinario successo che ne è conseguito.

Come ogni favola che si rispetti, il libro di Torvalds ha anche una morale. E la morale è quella dichiarata, neanche tanto velatamente, tra le righe. L’esperienza della creazione di Linux è stata, soprattutto, divertimento, passione per la scoperta delle cose, voglia di imparare e di essere, attraverso questo entusiasmo, artefice di qualcosa di nuovo che possa dare felicità a chi crea e a chi usufruisce del prodotto finale. Non esiste, in tutto il libro, un solo cenno di ostilità nei confronti di quello che l’opinione pubblica vede e riconosce come il più tenace dei concorrenti di Torvalds, il Bill Gates di Windows, ovvero l’indispensabile controparte per la ricerca di dualismi stereotipati come il Buono e il Cattivo, il bene e il male, Davide e Golia, Sandokan e Lord Guillonk, gli uni e gli altri, la dama e gli scacchi, il falso e il vero, la Pepsi e la Coca-Cola e via così.

Probabilmente la gente ha un incredibile bisogno di opporre a Torvalds qualcuno che predichi l’esatto contrario. Ma Torvalds no. La sua esperienza è semplicemente quella di una persona che in un determinato momento della propria vita si è divertito a costruire qualcosa di diverso, partendo dalle sue personali necessità. La necessità, come ripeto, non era certo quella di contrastare chissà quale strapotere o di offrire chissà quali alternative, come vorrebbe sostenere certo fanatismo linuxaro, ma solo ed esclusivamente quello di fare qualcosa di bello per sé, che, successivamente, è andato a costituire qualcosa di bello ed importante anche per gli altri.

L’atteggiamento di Torvalds, quindi, non è assolutamente quello di chi si mette a combattere una guerra tanto stupida quanto insensata, ma quello di chi vive la propria vita per quella che è, si mette sulla riva del fiume con una canna da pesca (o si rinchiude in una camera buia con un computer a meno di mezzo metro dal letto, è lo stesso) perché questa è l’unica cosa di cui ha bisogno. Se Linus Torvalds fosse partito con la chiara idea di fare la rivoluzione, probabilmente non ci sarebbe mai riuscito. E non certo per incapacità (ché Linus Torvalds è tutto meno che incapace) ma perché le rivoluzioni si fanno vivendo.

Il contrasto tra il pensiero originale di Linus Torvalds e quello dei suoi tanti epigoni improvvisati, risulta chiaro, oltre che dalla lettura del libro, anche da alcune interviste recentemente rilasciate, in cui, tra le altre cose, ha affermato: “Dov’è il problema per Linux? Sicuramente non è l’e-mail. Direi che è tutto il resto, ma è solo questione di tempo. Certo, StarOffice non è la soluzione perché è StarOffice stesso un rottame!” (Intervista a Fabio Malagnini in “Internet News” 11/2001, pag. 105).

Il fatto che sia lo stesso creatore di Linux a distruggere i falsi miti che migliaia di utenti vorrebbero tenere in piedi come feticci da adorare a tutti i costi (per molti il fatto che qualcosa sia gratis e non-Microsoft significa ancora che sia di buona qualità), è un dato tranquillizzante e che ci riporta alla vera essenza delle cose. Perché, per dirla con lo stesso Torvalds, il problema vero, adesso sono gli applicativi. Linux e la sua rivoluzione per caso e per divertimento, per fortuna, sono dati acquisiti.

Valerio Di Stefano

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Pubblicato il 7 nov 2001
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