La speranza in un braccio cyborg

La speranza in un braccio cyborg

Arti che si muovono alla velocità del pensiero. Grazie alla ricostruzione dei fasci nervosi. Una ricerca che viene dagli Stati Uniti
Arti che si muovono alla velocità del pensiero. Grazie alla ricostruzione dei fasci nervosi. Una ricerca che viene dagli Stati Uniti

Pensare di muovere la mano, o un piede, e farlo: come fosse normale. Ma in quel movimento di normale c’è davvero poco: a spostarsi con naturalezza è la protesi di un arto. A controllarla è la mente del paziente. A renderlo possibile gli studi sulla ricostruzione mirata dei tessuti nervosi nei muscoli ( targeted muscle reinnervation , TMR) di Todd A. Kuiken , medico e ricercatore della Northwestern University .

La nuova tecnica, non ancora perfezionata, permette ai primi pazienti che si sono sottoposti alla terapia sperimentale di aprire e chiudere la propria mano bionica, o di piegare e distendere il gomito, unicamente pensando di farlo. Il microprocessore integrato ad un dispositivo come un braccio artificiale sarà in grado di gestire anche movimenti più complessi e perfezionati: al momento la sperimentazione non arriva a tanto, ma lo scienziato è ottimista sui possibili sviluppi futuri .

“L’idea è che quando si perde un braccio, si perda il movimento, i muscoli e le ossa”, spiega Kuinen sulle pagine di Science Daily : ma i nervi, quello che ne resta, sono ancora in grado di trasferire l’impulso che dà origine al movimento . Con un’operazione chirurgica è possibile riconnettere queste terminazioni nervose ai muscoli del torace, in modo tale che siano i muscoli di quest’ultimo a reagire allo stimolo.

Attraverso un elettromiogramma , vale a dire la rilevazione dell’attività elettrica di un muscolo, l’elettronica contenuta nel braccio o nella gamba artificiale è in grado di intuire le intenzioni del paziente e muovere l’arto di conseguenza. Tutto grazie a 128 elettrodi posti nel petto : in questo modo è stato possibile codificare fino a 16 diversi istruzioni per l’arto, con una precisione nell’interpretazione che supera il 95 per cento.

Al momento la tecnica non consente movimenti raffinati : i pazienti riescono unicamente ad aprire o a chiudere la mano, ma non a coordinare tra di loro varie istanze, per esempio per afferrare qualcosa o, più semplicemente, per grattarsi.

Un’idea, quella di utilizzare i nervi residui post-amputazione, che Kuinen insegue sin dai tempi della sua laurea, negli anni ottanta: ora, assieme al suo team, collabora con il Brooke Army Medical Center di Fort Sam, Texas, per offrire ai soldati vittime di incidenti la possibilità di riacquistare gli arti perduti. Le premesse sono buone, e Kuinen si dice “entusiasta” di proseguire nella ricerca per offrire “tanta speranza” a molte altre persone .

Luca Annunziata

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Pubblicato il
19 nov 2007
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