Ritornelli: la dipendenza da videogiochi esiste

Ritornelli: la dipendenza da videogiochi esiste

Molte società di rilevazione cavalcano la moda del momento ma Harris Interactive promette che i suoi sono risultati affidabili: un teenager americano su dieci soffrirebbe di una dipendenza che condiziona e cambia la vita
Molte società di rilevazione cavalcano la moda del momento ma Harris Interactive promette che i suoi sono risultati affidabili: un teenager americano su dieci soffrirebbe di una dipendenza che condiziona e cambia la vita

Uno su dieci fra i quasi 1200 ragazzi intervistati da Harris Interactive sembra trascurare la scuola, mostra deficit nelle capacità attentive, si rivela scontroso con i genitori e particolarmente aggressivo con i compagni, soffre di sovrappeso. Tutte manifestazioni della dipendenza da videogiochi , sostiene l’ indagine Video Gaming: general and pathological use “, segnalata da BusinessWeek .

Se oltre l’80% dei giovani intervistati, ragazzi americani tra gli 8 e i 18 anni, dichiara di intrattenersi con i videogame almeno una volta al mese, Harris Interactive ha osservato una significativa discrepanza tra il comportamento di ragazzi e ragazze. Se la media delle ore passate davanti allo schermo, controller alla mano, si assesta sulle 16 ore per i ragazzi fino ai tredici anni e sulle 18 ore per i più grandi, per le ragazze la media scende sensibilmente, rispettivamente con 10 e 8 ore settimanali.

Tutto ciò avviene mentre un terzo dei ragazzi intervistati si dichiara assuefatto dai videogame, quando ad esserlo, in realtà , è l’ 8,5 per cento di loro. Confrontati i loro comportamenti con le linee guida dettate dal manuale diagnostico americano che definisce le malattie psichiatriche, si sono dovuti rassicurare parte dei giovani che si sentivano oppressi dalla febbre del videogioco. “Una dipendenza è ben più che il fare ripetutamente o ininterrottamente una cosa. Significa farla in modo che condizioni la vita “, chiosa il dottor Douglas Gentile, a capo dell’indagine e luminare nel campo, nonché direttore della ricerca per l’ Istituto americano per i media e la famiglia .
Essere dipendenti significa, ad esempio, rubare per comprarsi il videogame che permetta di fuggire dai problemi mediamente per 24,5 ore settimanali e che, contemporaneamente, spinga a trascurare le piccole incombenze quotidiane, mentre cresce la necessità di intensificare e prolungare la sessione di gioco per trarne soddisfazione, magari nell’isolamento della propria cameretta, al sicuro dal controllo dei familiari.

E i genitori stanno a guardare? Ancora non si parla di centri di disintossicazione per ludomani come già avviene in Olanda , ma molti dei ragazzi, soprattutto i più piccoli, affermano che le famiglie impongono loro delle regole.

Le richieste dei genitori, nonostante i media riprendano tristi vicende che a volte raccontano di decessi di videogamer “per il prolungato uso dei videogiochi”, sono poco pressanti sul fronte del tempo trascorso davanti agli schermi, o dei momenti da dedicare al gioco.

L’ apprensione delle famiglie si rivolge soprattutto al tipo di gioco con cui i ragazzi si intrattengono. I genitori si basano spesso sul sistema di classificazione Entertainment Software Rating Board ( ESRB ): il 44% dei genitori degli intervistati ha proibito l’acquisto di un gioco adducendo il rating come motivazione.

Due ragazzi su cinque, invece, sembrano avere genitori non spaventati dal comune sentire, dalle indagini e dalle crociate politiche che imputano ai prodotti videoludici la responsabilità di un violento imbizzarrirsi delle nuove generazioni. Alcuni dei genitori, benché i figli abbiano ammesso di essere influenzati dagli stessi contenuti dei giochi, hanno dichiarato di regalare loro dei prodotti che l’associazione che stila l’ESRB ha destinato ad un pubblico adulto.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
4 apr 2007
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