Arabia Saudita: sì, censuriamo, e allora?

Arabia Saudita: sì, censuriamo, e allora?

Le rimostranze di Reporters sans frontières convincono Riad ad ammettere che effettivamente alcune piattaforme di blogging sono inibite agli utenti del paese. Senza un perché... ufficiale
Le rimostranze di Reporters sans frontières convincono Riad ad ammettere che effettivamente alcune piattaforme di blogging sono inibite agli utenti del paese. Senza un perché... ufficiale


Riad (Arabia Saudita) – Non c’è ragione al mondo per la quale un regime come quello che governa l’Arabia Saudita debba rispondere di quello che fa, quando si viene alla censura dei nuovi media , pratica che vanta ormai una tradizione pluriennale , e dunque non può sorprendere che neppure alle ultime pesanti polemiche internazionali Riad abbia preferito non rispondere o, meglio , rispondere a metà.

La polemica l’aveva sollevata, tanto per cambiare, l’organizzazione internazionale Reporters sans frontières (RSF) che in una dura nota aveva denunciato l’attivazione di nuovi filtri sui proxy di Stato sauditi, filtri che impediscono agli utenti del paese di accedere a Blogger.com , la celeberrima piattaforma per la creazione e gestione di blog che fa capo a Google .

“L’Arabia Saudita – si legge nella nota – è uno dei paesi che applica la censura più pesante su Internet, ma fino ad oggi i servizi di blogging non erano stati colpiti dai filtri della ISU” (la società di Stato che gestisce le reti saudite, ndr.). “Il blocco completo di Blogger.com – continua il comunicato di RSF – uno dei più importanti tool di blogging su Internet, preoccupa moltissimo. Solo la Cina aveva fin qui messo in atto misure così estreme per censurare Internet”.

Senza rispettare le consolidate attitudini all’omertà, ISU ha risposto alle richieste di spiegazione di RSF limitandosi ad ammettere che sì, effettivamente la censura è stata applicata. Non ha però ritenuto di fornire i motivi, un fatto peraltro del tutto comprensibile visto che la decisione non sarà certo stata presa da ISU ma da chi siede nella stanza dei bottoni a Riad. Né ci vuole granché ad intuire le ragioni, sono le stesse che da anni spingono il regime a limitare grandemente la fruibilità di Internet , mezzo tanto indispensabile quanto capace di far parlare tra di loro i sudditi sauditi e di esporli a contenuti occidentali, magari persino agli orrori della democrazia.

Che l’Arabia censuri la rete nell’assoluto silenzio della comunità internazionale è peraltro un dato acquisito: la stessa ISU ammette la censura di almeno 400mila siti web esteri , siti che fanno riferimento a pornografia, certo, ma anche a materiali prodotti da movimenti islamici sgraditi, a pubblicazioni democratiche e ad organizzazioni politiche che contestano le scelte di Riad.

Come noto ai lettori di Punto Informatico, in Arabia Saudita tutti i provider utilizzano connettività proveniente dalle reti di Stato, presidiate da ISU sotto il monitoraggio dell’intelligence saudita, con un meccanismo simile a quello impiegato in Cina. Di interesse la conferma da parte di ISU che al proprio indirizzo email dedicato alla raccolta di segnalazioni da siti da censurare arriverebbero centinaia di segnalazioni al giorno da parte di privati cittadini, evidentemente timorosi che loro stessi, le loro famiglie e i propri compaesani possano essere esposti a contenuti “alternativi”.

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Pubblicato il
6 ott 2005
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