Web – Anche il navigatore più disattento si sarà accorto del boom delle offerte di servizi che permettono di ospitare un piccolo banner sul proprio desktop durante la navigazione, o di ricevere messaggi pubblicitari in posta elettronica in cambio di un compenso commisurato al tempo della connessione o al numero di e-mail ricevute. L’esplosione di queste attività on line ha raggiunto il suo apice fra gli ultimi mesi del 1999 ed i primi di quest’anno, portando alla ribalta anche nomi di iniziative imprenditoriali nostrane.
Non addentriamoci nell’analisi dettagliata di come funzioni tutto ciò, dal punto di vista tecnico e soprattutto contrattuale, anche perché i lettori avranno già una cultura in materia , ma consideriamo più da vicino un aspetto, che ai singoli utenti di tali servizi può essere sfuggito, ma che riveste un’importanza capitale dal punto di vista giuridico.
La maggior parte delle imprese che portano avanti questo tipo di affari afferma di farlo servendosi di una tecnologia proprietaria ed alcune di esse mostrano con fierezza brevetti registrati all’estero o addirittura brevetti internazionali. In che cosa consiste in realtà il meccanismo che permette a tali soggetti di spartire con gli utenti i proventi della raccolta pubblicitaria? In effetti si tratta di nulla più di quello che si è brevemente descritto nelle prime righe di questo pezzo. Si sottoscrive un contratto on line e si scarica il software che permette di ospitare i banners pubblicitari.
Ma questo software può considerarsi un’invenzione brevettabile?
Premesso che l’idea di fondo è senza dubbio ingegnosa, si deve considerare che si richiedono quattro requisiti per la brevettabilità di un invenzione:
– industrialità: l’opera deve poter essere sfruttata in un processo produttivo inteso nel senso più ampio del termine;
– liceità: l’opera deve essere compatibile con le norme imperative di legge;
– novità: essa non deve essere stata oggetto di precedente divulgazione e non deve essere di dominio pubblico;
– originalità: essa non può consistere nell’applicazione meccanica di conoscenze e principi di dominio pubblico.
Indubbiamente il paid per connect e le tecnologie da esso sfruttate rispondono ai primi due requisiti senza che sulla loro sussistenza possano porsi dei dubbi, ma per quanto riguarda la novità e soprattutto l’originalità è il caso di porsi delle domande.
Non è forse vero che il software necessario per tale utilizzo si serve di un insieme di meccanismi assolutamente conosciuti e sfruttati nel mondo di Internet se non dai suoi esordi, almeno dal suo recente avvicinamento alle più ampie fascie di mercato?
Non è una scoperta di chi scrive che la pratica di finanziare le più disparate iniziative on line ha sempre sfruttato la pubblicità ed in particolare i banners che compaiono in finestre affiancate a quella di navigazione e in sotto-frames. In sostanza, non si fa altro che ricevere immagini animate in finestre ridotte, attraverso un collegamento tcp/ip, dal server dell’impresa che offre il servizio.
Ciò che di innovativo si può rinvenire nel bussiness in questione non ha nulla a che vedere con la tecnologia, il che riporta al grande problema consistente nella troppa disinvoltura con la quale l’Ufficio Brevetti e Marchi Americano rilascia “le patenti” per qualunque presunta innovazione. Non si vuole qui toccare la spinosa questione riguardante la brevettabilità del software, anche se ovviamente chi scrive è assolutamente contrario a tale tipo di prospettiva.
Ciò che rende innovativo il paid per connect è l’idea di sfruttare conoscenze e tecnologie, già ampiamente diffuse, secondo uno schema contrattuale mai visto e sicuramente originale… Ma allora è necessario chiedersi se sia possibile brevettare una fattispecie astratta di contratto, piuttosto che gli strumenti tecnici che servono a realizzarne un’applicazione pratica.
La risposta è assolutamente negativa: immaginatevi cosa succederebbe se qualcuno potesse brevettare lo schema contrattuale della compravendita piuttosto che quello del leasing o dell’outsourcing! Se mai qualcuno dovesse dimostrare il contrario, mi divertirei a presentare domanda per il brevetto sul contratto di mutuo, visto che sono Genovese e c’è una discreta probabilità che qualche mio antenato banchiere abbia inventato la pratica di prestare denaro in cambio di altro denaro!!!
Nel nostro ordinamento, come in tutti gli altri, vige il principio dell’autonomia contrattuale che, detto brevemente, permette alle parti di un contratto di regolare i propri interessi come queste preferiscono, a patto di non contravvenire a norme imperative di legge o di non eluderle attraverso negozi in frode ad essa. Nessuno può quindi arrogarsi la paternità di un tipo contrattuale, perché tutti sono liberi di copiarlo o modificarlo entro i limiti di legge.