Roma – Come annunciato da Punto Informatico, il Codice dell’Amministrazione Digitale, rilasciato non senza polemiche il 7 marzo di quest’anno e ormai prossimo all’entrata in vigore (1 gennaio 2006), sta per essere oggetto di modifiche: si vedrà quanto corpose.
Uno dei punti oggetto di approfondimento è la concreta azionabilità del diritto, sancito dall’ articolo 3 , all’uso delle tecnologie telematiche nei rapporti con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali, che nelle intenzioni dei proponenti andrebbe affidata alla competenza esclusiva per materia dei Tribunali Amministrativi Regionali.
Se l’articolo 3 del Codice può essere letto nel senso della possibilità per il cittadino di ricorrere alle tecnologie in luogo della carta, la stessa disposizione può essere letta nel senso del diritto del cittadino ad utilizzare pienamente gli strumenti telematici che la pubblica amministrazione mette, o è obbligata a mettere, a sua disposizione. Per fare un esempio: ho diritto non soltanto di pagare una multa via internet, ma anche quello di poterla pagare, di essere cioè messo nelle condizioni di trovare, leggere e comprendere la pagina attraverso la quale effettuare il versamento. Di questo si occupa l’ articolo 53 del Codice dell’Amministrazione Digitale, il quale dispone che i siti internet delle pubbliche amministrazioni centrali siano rispettosi dei principi di “accessibilità, nonché di elevata usabilità e reperibilità, anche da parte delle persone disabili, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità di consultazione, qualità, omogeneità ed interoperabilità”.
Se al valore accessibilità è stata data attuazione con la legge 4 gennaio 2004, n. 4 , nota come legge Stanca dal nome del Ministro proponente, limiti evidenti sussistono proprio sul punto della verifica del rispetto delle disposizioni attuative, i famosi ventidue requisiti di cui i siti internet dovranno essere rispettosi.
Come sottolineato su Webimpossibile , il Regolamento di attuazione affida al CNIPA i controlli verso le amministrazioni dello Stato e i poteri ispettivi di controllo sui soggetti privati che, pur non obbligati, intendano far valutare i propri siti, mentre regioni, province autonome e enti locali sono delegate a vigilare autonomamente “sull’attuazione da parte dei propri uffici delle disposizioni della legge”. C’è un problema: nessun controllo è previsto verso chi, pur non essendo una pubblica amministrazione, è comunque obbligato al rispetto della legge.
Si tratta di soggetti non da poco che spesso si interfacciano direttamente con il cittadino: aziende private concessionarie di servizi pubblici, aziende municipalizzate regionali, enti di assistenza e di riabilitazione pubblici, aziende di trasporto e di telecomunicazione a prevalente partecipazione di capitale pubblico, aziende appaltatrici di servizi informatici. Ecco dunque che la proposta di affidare al giudice amministrativo la competenza in materia diventa interessante per più di un motivo: in primo luogo perché, come da più parti segnalato, il Codice stabilisce una serie di principi in un, pur apprezzabile, stile anglosassone senza tuttavia indicare la strada per attuarli.
In secondo luogo perché l’ipotesi di rimettere ai T.A.R. il compito di giudicare (anche) sull’ accessibilità negata si sposa con le procedure già consolidate dei giudici amministrativi in tema di azionabilità di interessi legittimi, sia di fronte a provvedimento espressi (dinieghi) sia di fronte a comportamenti passivi (silenzi) delle Pubbliche Amministrazioni.
In terzo luogo perché i T.A.R. hanno competenza anche verso soggetti che pur non essendo pubbliche amministrazioni sono comunque obbligati all’applicazione della legge Stanca in quanto gestori di un pubblico servizio.
Se a tutto ciò si aggiungono l’ampliamento dei poteri istruttori dei giudici amministrativi operato nel 2000 e la tradizionale rapidità della tutela cautelare amministrativa, si comprende come la proposta faccia ben sperare: da un lato al cittadino è offerta una sede giudiziale dove agire direttamente a tutela dei propri diritti, dall’altro la competenza a verificare la fondatezza della domanda è attribuita al giudice cui tradizionalmente è affidato il compito di sindacare la legittimità degli atti e dei comportamenti della Pubblica Amministrazione.
Se la proposta non passasse, il rischio è che il CNIPA si trasformi in una sorta di “mascherone” (o “bocca di leone”) di serenissima memoria dove depositare le denunce segrete verso il povero responsabile dell’accessibilità informatica che la legge Stanca impone, all’articolo 9 del Decreto, di istituire. Con buona pace dei valori di civiltà che Codice e legge Stanca sottintendono.
avv. Lorenzo Spallino
Webimpossibile.net