Secondo uno studio di Ahrefs su 15.000 query, il 90% dei link citati dai chatbot AI, compreso ChatGPT, non compare nei primi 10 risultati di Google o Bing. È come se vivessero in un universo parallelo del web, pescando informazioni da angoli remoti che i motori di ricerca tradizionali ignorano. Ma la realtà è persino peggiore… L’80% delle fonti citate non appare nemmeno nei primi 100 risultati.
ChatGPT ignora Google e Bing, si salva solo Perplexity
In questo caos, c’è un’eccezione: Perplexity. Mentre ChatGPT, Gemini e Copilot citano fonti che corrispondono ai primi 10 risultati di Google solo nell’8% dei casi, Perplexity raggiunge un impressionante 28,6%.
Ma Perplexity non usa l’indice di Google o Bing. Ha il suo robot di indicizzazione, perplexitybot, che costruisce un indice proprietario. Eppure, le sue scelte si allineano con quelle di Google tre volte più spesso degli altri. È genio semplice coincidenza? La verità è che Perplexity è stato progettato fin dall’inizio come “motore di risposte”, non come chatbot. Ogni risposta include citazioni visibili, ogni affermazione è verificabile.
Perché i chatbot AI ignorano i risultati di Google?
Il motivo per cui le AI ignorano i risultati di Google è affascinante. Invece di cercare esattamente quello che chiediamo, usano una tecnica chiamata “query fan-out”. È come se, chiedendo come pulire una macchina del caffè
, l’AI cercasse simultaneamente rimuovere calcare Nespresso
, manutenzione espresso
, detergente naturale caffettiera
e decine di altre varianti.
Poi fondono tutti i risultati usando algoritmi come il Reciprocal Rank Fusion (RRF), che premia le pagine che appaiono in più ricerche, anche se non sono mai prime per nessuna query specifica. In pratica, trovano informazioni potenzialmente più complete, ma da fonti che voi non trovereste mai.
ChatGPT ha un approccio ancora più bizzarro. Non cerca sempre sul web. Ha un meccanismo interno chiamato “sonic classifier” che decide se la domanda richiede informazioni aggiornate o se può rispondere con quello che già “sa” dall’addestramento.
Il risultato? Solo quando il modello pensa che la risposta esuli dai suoi dati, attiva la ricerca web. Non stupisce quindi che le sue citazioni corrispondano ai primi 10 risultati di Google solo nell’8% dei casi. Gemini di Google fa ancora peggio, il che è ironico considerando che Google possiede sia l’AI che il motore di ricerca.
Copilot e l’amore per Bing (che nessun altro prova)
Microsoft Copilot è l’unico che mostra una preferenza per Bing. Quando restituisce una risposta, tra le fonti che cita nei suoi primi 10 risultati, il 16,6% sono link presi dal motore di ricerca Bing. Ha senso, è un prodotto Microsoft che usa l’indice Bing. Ma anche così, l’84% delle sue citazioni viene da altrove. È la conferma che anche quando un’AI ha accesso diretto a un motore di ricerca, sceglie di ignorarlo la maggior parte delle volte.
La SEO che fine fa?
Per chi lavora nel digitale, questi dati danno da pensare. Essere primi su Google non garantisce più di essere citati dalle AI. L’80% delle fonti citate non appare nemmeno nei primi 100 risultati. E quindi, che si fa? Ahrefs suggerisce di lavorare su “cluster di argomenti” invece che su singole parole chiave.
Creare contenuti che rispondano a variazioni sul tema della stessa domanda. Non più come fare il caffè perfetto
ma anche temperatura ideale espresso
, pressione bar macchina caffè
, tempo estrazione ottimale
. Invece di ottimizzare per un algoritmo, ora dobbiamo ottimizzare per i chatbot AI che pensano in modi completamente diversi.
Ma c’è un altro problema. Le AI personalizzano le risposte basandosi su fattori invisibili. La cronologia della conversazione, il contesto del prompt, persino l’ora del giorno potrebbero influenzare quali fonti vengono citate. Due persone che fanno la stessa domanda possono ricevere citazioni completamente diverse.
È l’opposto di Google, dove (almeno in teoria) tutti vedono risultati simili per la stessa query. Con le AI, ogni risposta è unica, ogni citazione potenzialmente irripetibile. Come si fa SEO per un sistema che non ha regole fisse?
L’Internet sommerso
Quello che stiamo vedendo è il trionfo di un Internet sommerso. Siti che Google ignora, pagine sepolte nella pagina 10, contenuti di nicchia che improvvisamente diventano autorevoli per un’AI. Le 15.000 query analizzate da Ahrefs mostrano che questo pattern è universale. Non importa l’argomento, le AI pescano da un oceano diverso da quello dei motori di ricerca tradizionali.
Per gli utenti, significa che le informazioni che ricevono da ChatGPT o Gemini vengono da un web parallelo, al di fuori dei meccanismi di ranking che hanno governato Internet per 20 anni. Per i creatori di contenuti, significa che le regole del gioco sono cambiate, e nessuno sa ancora quali siano le nuove.