Chi ha paura del software libero?

Chi ha paura del software libero?

di Carlo Gubitosa. Repubblica dà una mano nello spargere nebbie sul futuro dell'open source. Segno probabile che il nemico è alle porte ed è un osso più duro del previsto
di Carlo Gubitosa. Repubblica dà una mano nello spargere nebbie sul futuro dell'open source. Segno probabile che il nemico è alle porte ed è un osso più duro del previsto


Roma – Commento di Carlo Gubitosa (Peacelink) – Il 18 giugno 2001, un cocktail di informazioni false e diffamatorie sul free software, condite da una intervista “su misura” al vice presidente Microsoft, hanno trasformato due pagine dell’autorevole inserto di Repubblica “Affari e Finanza” in una brochure pubblicitaria dell’azienda più ricca del mondo.

“Anche Linux finisce in tribunale” è il titolo eclatante di un articolo apparso sull’inserto “Affari e Finanza” del quotidiano “La Repubblica” , nel numero del 18 giugno, a firma di Massimo Miccoli. Un vero e proprio affronto alla “Carta dei Doveri del Giornalista”, approvata nel 1993 dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in cui è chiaramente stabilito che il titolo di un articolo “non deve travisare né forzare il contenuto”.

L’articolo in questione, infatti, non descrive le vicende giudiziarie del sistema operativo Linux o del suo creatore, ma è semplicemente una descrizione in negativo del “Free Software”, il software libero (non gratuito, ma libero) che da alcuni anni è la “fionda di Davide” che minaccia di scalzare dal trono i giganti dell’informatica, prima tra tutti l’onnipresente Microsoft. Nell’articolo si accenna vagamente a “dibattiti infuocati, in alcuni casi già sfociati in aule di tribunali”, senza citare nomi, fatti o date, con buona pace della completezza dell’informazione, e solo nell’ultima riga si legge che “potrebbe invece finire sotto accusa per eccessivo potere e “tentazione” di monopolio l’arcinemico Torvalds”, una non-notizia data ovviamente con l’uso del condizionale, dal momento che si tratta di informazioni assolutamente false e infondate.

Linus Torvalds, che ha dato il via alla creazione del sistema operativo Linux, sviluppato successivamente con il contributo di migliaia di utenti sparsi in tutto il mondo, è spesso descritto come un “dittatore benevolo”, capace di mantenere il controllo sulla sua creatura pur lasciando ampia libertà di iniziativa agli altri sviluppatori di Linux, ma descrivere questo fatto come il rischio di “finire in tribunale” con l’accusa di “eccessivo potere” è decisamente eccessivo. Anche la “tentazione di monopolio” sbandierata da Miccoli è semplicemente un parto di fantasia, dal momento che la libertà del sistema operativo Linux è garantita
dall’utilizzo della GNU GPL (General Public License), una licenza d’uso applicabile al software che contrariamente alle licenze di utilizzo adottate dagli altri produttori commerciali di software, non restringe le libertà degli utenti ma le estende, trasformando ogni programma in una “scatola aperta” che ognuno può migliorare e modificare a piacimento, con la possibilità di vendere e distribuire le versioni modificate, a condizione che i programmi derivati offrano la stessa libertà delle versioni originali.

Il risultato è un circolo virtuoso che obbliga gli utenti di programmi liberi a produrre software altrettanto libero. Il meccanismo legale della GPL, sviluppato nel corso degli anni dalla “Free Software Foundation”, è una garanzia perpetua di libertà dei programmi, che rende impossibile qualsiasi “tentazione di monopolio” anche allo stesso Linus Torvalds.

La questione delle licenze software è molto più delicata di quello che sembra. Nel nostro Paese ormai nemmeno i post-comunisti si arrischiano più a sostenere che “la proprietà è un furto”. Questo slogan che appartiene al passato ormai è condiviso unicamente dai produttori di programmi per elaboratore, che non vendono programmi, ma “licenze di utilizzo di programmi”. Se leggiamo le righe scritte in piccolo sui fogli di carta che accompagnano il software, scopriremo di non essere proprietari del codice informatico che abbiamo pagato profumatamente. Quello che abbiamo acquistato è solo una “licenza di utilizzo” che ci permette di usare il software, ma non ci consente di rivenderlo, di prestarlo o di guardarci dentro per capire come è fatto, così come faremmo con qualsiasi altro oggetto di nostra proprietà. Per chi è liberista solo a parole, ma nei fatti è più illiberale dei vetero-comunisti, rivendicare la proprietà del software e il conseguente libero utilizzo sarebbe un furto, una filosofia completamente antitetica rispetto alle idee espresse nella General Public License, il vero e proprio “manifesto ideologico” della cultura del software libero.

La “rivoluzione” del free software è ormai da anni un vero e proprio incubo per i monopolisti dell’informatica, e questa paura è cresciuta al punto che la stessa Microsoft ha dovuto sviluppare delle “strategie di guerra” documentate in un memorandum interno confidenziale dell’agosto 1998, passato alla storia col nome di “Halloween Document”, perché trapelato nel giorno di Halloween. In questo fascicolo si afferma che “I programmi a codice aperto costituiscono una minaccia a breve termine per Microsoft, particolarmente nel mercato dei server. In più, il parallelismo intrinseco e il libero scambio delle idee nei programmi a codice aperto hanno degli effetti benefici che non sono riproducibili con il nostro attuale modello di licenze software”.

Per questo e altri motivi la lotta per il predominio nel settore dei programmi informatici si è spostata anche sul versante mediatico, con la produzione di titoli, informazioni e notizie “su misura”, che hanno l’obiettivo di allontanare gli utenti e gli investitori dal nascente mercato del free software, dove molte aziende si sono quotate solidamente in borsa offrendo servizi e prodotti accessori basati su programmi liberi e gratuiti, che possono essere copiati, modificati e distribuiti senza finire in galera.

La strategia di marketing adottata da Microsoft e dagli altri colossi dell’informatica è conosciuta dagli addetti ai lavori con la sigla FUD, da “Fear, Uncertainity and Doubt” (paura, incertezza e dubbio), le armi psicologiche utilizzate per estromettere dal mercato un prodotto o un’azienda “pericolosi” quando il vantaggio competitivo nei confronti dei soggetti emergenti non è più la migliore qualità dei prodotti, ma semplicemente il maggiore credito di cui si dispone presso i mezzi di informazione.

L’articolo “un po ‘ open saremo anche noi”, apparso su Affari e Finanza in accoppiata con “anche linux finisce in tribunale”, è un classico esempio di applicazione della strategia FUD. Si tratta di una intervista, realizzata da Eugenio Occorsio, in cui Umberto Paolucci (vice presidente della Microsoft Corporation e responsabile dell’area europea) espone la posizione della sua azienda nei confronti del software libero. Facendo leva sulle scarse conoscenze tecniche del lettore medio, Paolucci si permette anche di pronunciare dalle pagine di “Affari e Finanza” anche delle affermazioni che nel mondo degli addetti ai lavori suonerebbero come delle vere e proprie bestemmie. Paolucci afferma che “un sistema costruito con elementi noti solo al produttore aumenta la sicurezza contro le frodi, le intrusioni e le violazioni, migliora l’impenetrabilità e l’affidabilità”, dimenticandosi che i sistemi operativi Microsoft sono universalmente riconosciuti come i più esposti agli attacchi esterni. Per farsi un’idea basta dare uno sguardo alle statistiche del sito www.securityfocus.com, dove i sistemi operativi Windows NT 2000 e Windows NT 4.0 si sono piazzati rispettivamente al primo e al secondo posto nella classifica dei “sistemi più vulnerabili del 2000”, sbancando la classifica anche nel ’99 con le loro versioni precedenti.

Tuttavia parlando di “sicurezza contro le frodi” Paolucci ha indubbiamente raggiunto il suo obiettivo: seminare paura, incertezza e dubbio in tutti quei lettori sprovveduti che non sospetterebbero neanche lontanamente di essere stati raggirati dal maggior produttore mondiale di software e da uno dei quotidiani più letti in Italia.

Carlo Gubitosa

Gli articoli di Repubblica (1)

Gli articoli di Repubblica (2)

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Carlo Gubitosa è un giornalista freelance che collabora con l’associazione
di volontariato dell’informazione PeaceLink

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Pubblicato il
21 giu 2001
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