Cina: Google come il Pentagono

Cina: Google come il Pentagono

Secondo i principali media del paese asiatico, i rapporti tra BigG e le autorità statunitensi sarebbero molto stretti. Il fine? Inquinare usi, costumi e cultura della Repubblica Popolare
Secondo i principali media del paese asiatico, i rapporti tra BigG e le autorità statunitensi sarebbero molto stretti. Il fine? Inquinare usi, costumi e cultura della Repubblica Popolare

I rapporti tra Google e le autorità statunitensi sarebbero parecchio intimi, saldamente basati su fitti, intricati legami di natura politica . Questa, in sintesi, la visione recentemente illustrata dai principali mezzi di comunicazione cinesi, che hanno accusato la Grande G di voler stravolgere gli stessi principi sociali del paese asiatico, di voler imporre dei valori prettamente americani .

A dipingere questo oscuro scenario, l’agenzia di stampa Xinhua , gestita dal governo centrale di Pechino. Con un editoriale dal titolo Google, non politicizzarti . “È spiacevole – si legge nell’articolo – I recenti comportamenti di Google mostrano chiaramente che non si tratta soltanto di espandere un business in Cina, ma anche di recitare un ruolo di primo piano nell’esportazione di cultura, valori, idee”.

Secondo Xinhua , l’idea di BigG di imporre i suoi valori e le sue regole sul flusso di Internet non rispetterebbe affatto la tradizione, i valori e l’intera cultura cinese. “Che lasci o meno il nostro mercato – continua l’editoriale – una cosa è certa: la Rete cinese, con i suoi 400 milioni di netizen, continuerà tranquillamente a prosperare”. E l’agenzia di stampa ha poi sottolineato quanto sia ridicola la sola idea di cambiare l’attuale regolamentazione del paese.

I vertici di Google sarebbero dunque strettamente collegati a quelli del governo degli Stati Uniti, con l’obiettivo nascosto di fornire al Pentagono i dati più utili relativi al motore di ricerca made in Mountain View . Anzi, secondo Xinhua parecchi uomini del Pentagono verrebbero direttamente dagli uffici di BigG .

Si tratterebbe dunque di un dato di fatto, almeno secondo un altro editoriale del quotidiano China Daily . Le proteste di Google sarebbero diventate uno strumento di forza nelle mani della potenza straniera per attaccare la Cina sotto le mentite spoglie della libertà di Internet. Una scusa, quella dei filtri e dei cyberattacchi, per spiare e controllare i cittadini cinesi.

Intanto, nel mezzo del fuoco delle polemiche, hanno trovato un piccolo spazio anche gli stessi netizen del paese asiatico. In una lettera aperta – riportata sul blog di Rebecca MacKinnon, impegnata nel campo dei diritti online – i cittadini cinesi della Rete hanno in sostanza denunciato una situazione di totale oscurità, perché lasciati completamente all’oscuro nel delicato contesto cino-statunitense.

Una lettera aperta indirizzata innanzitutto al governo di Pechino, per chiedere con forza che, se di censura debba trattarsi, almeno la si effettui in accordo con i principi costituzionali cinesi. Con procedure trasparenti, senza alcuna sforbiciata preventiva. Ma la lettera aperta si è rivolta anche a BigG, bacchettata per non aver informato in maniera adeguata i suoi netizen di ciò che stava bollendo in pentola. Quello che vorrebbero sapere è quali contenuti sono stati tagliati via e se Google abbia rispettato le leggi di Pechino su pornografia, violenza e gioco d’azzardo.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
22 mar 2010
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