Mentre negli USA il New York Times ha deciso di rimandare di un anno il passaggio parziale dei propri contenuti web ad un modello a pagamento, gli editori italiani stanno scaldando i motori. Qualche giorno fa, durante un incontro privato con i dipendenti di RCS, il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli ironizzava sugli scarsi introiti derivati dalla vendita della applicazione per iPhone di Corriere.it . “Abbiamo incassato 50mila euro – avrebbe detto De Bortoli – per un gruppo che ha qualche miliardo di debiti converrete che non è male”.
Le applicazioni per iPhone sembrano essere diventate il luogo della sperimentazione dei nuovi modelli economici editoriali e in questa scelta c’è qualcosa di paradossale. Il piccolo schermo degli smartphone non è certo l’interfaccia ideale per leggere le notizie, inoltre non si tratta di un tipo di terminale così diffuso. Le prove tecniche di passaggio al modello a pagamento sono poi caratterizzate da una certa confusione che gli editori contribuiscono ad alimentare. L’applicazione di Corriere.it per iPhone per esempio è stata prima gratuita, poi per un certo periodo è costata 2,39 euro, poi è ritornata gratuita ma con una scadenza di 15 giorni oltre i quali i contenuti vengono offerti in abbonamento. Ma la stessa richiesta viene estesa anche a quanti, avendo pagato il fee iniziale, erano convinti di non dover corrispondere ulteriori oboli. Insomma una discreta indecisione dalla quale sembra difficile uscire. C’è poi da chiedersi quanti lettori decideranno di pagare per accedere su iPhone a contenuti che per ora sono ancora disponibili gratuitamente sul sito web dell’editore.
La complicazione principale riguarda infatti la tempistica: non è immaginabile che il passaggio dal free al fee, anche una volta deciso, avvenga in maniera troppo graduale. Così come è difficile pensare che possa interessare in tempi differenti i diversi grandi editori. In realtà le domande angoscianti non finiscono qui: quanti lettori fluiranno ordinatamente altrove, nel momento in cui la gran parte dell’offerta editoriale passerà a pagamento? E dove andranno? Uno scenario del genere, dimenticando per un istante il dramma dei conti dell’industria editoriale, apre anche concrete e grandi attese per un universo delle news più piccolo e alternativo, fino a ieri relegato alla periferia ma comunque esistente, cresciuto in maniera disomogenea in questi anni e fatto di blog, siti di nanopublishing, quotidiani locali e magazine tematici solo web. I cambiamenti in atto, per la prima volta, rendono plausibile la sussistenza di nuovi progetti alternativi. Chiunque di voi desiderasse aprire un quotidiano su Internet sappia che oggi, nel momento in cui i grandi gruppi editoriali si accordano per chiedere soldi per i propri contenuti in rete, è il momento giusto per scendere in campo.
Rimanendo ai dolori dei vecchi editori, è piuttosto evidente che le formule di pagamento pensate da RCS per i propri contenuti su iPhone non funzioneranno. La cifra è giusta (5 euro al mese, 50 euro all’anno) ma l’offerta è quantitativamente troppo modesta per raggiungere un ampio pubblico. Non è possibile chiedere denaro ai propri lettori in relazione allo strumento utilizzato per raggiungerli.
Nelle valutazioni sui modelli economici utili in rete ci sono pochissime certezze: una di queste, nonostante molti continuino ostinatamente a citare il modello iTunes, è quella della necessità di tariffe flat. Io lettore – se davvero vuoi i miei soldi – ti pago un unico abbonamento per tutto. La maggior complicazione a questo modello viene dalla moltiplicazione della catena di intermediari. Un esempio potrebbero essere i contenuti editoriali su Kindle. Oggi l’unico editore italiano che offre il proprio quotidiano su Kindle è La Stampa . Non esiste una ragione al mondo per cui io lettore de La Stampa debba pagare 20 dollari al mese per leggere il quotidiano su Kindle, un abbonamento per accedere alla futura sezione a pagamento del sito web e magari un altro abbonamento per accedere agli stessi contenuti da iPhone. C’è tutta una nuova complicata sincronia da immaginare.
Ogni valutazione sulla efficacia di un passaggio dal gratuito ad un modello a pagamento sarà ovviamente possibile solo nel momento in cui gli editori decideranno di ridurre in maniera significativa la parte web gratuita dei propri siti (pagando un prezzo alto in termini di raccolta pubblicitaria) trasferendo i propri contenuti dietro il cancello riservato agli abbonati.Anche in questo caso si tratta di un equilibrio molto difficile che andrà ben calibrato fra informazioni (poche) che si sceglierà di rendere pubbliche e altre (molte) per le quali si chiederà denaro.
Molto interessante sarà osservare anche cosa avverrà a margine delle grandi manovre dei primi sperimentatori, specie nel momento in cui molti fornitori di contenuti autorevoli come il New York Times , hanno deciso di mantenere gran parte dei propri articoli di libera consultazione. Interamente per tutto il 2010 e in buona parte anche dopo. Se i grandi editori italiani stringeranno la corda non è difficile immaginare che altri soggetti editoriali occuperanno lo spazio lasciato libero. Si dice sempre che il modello economico legato basato sulla pubblicità sul web non è sufficiente per far quadrare i conti delle grandi imprese editoriali. È certamente vero. Ma ci stiamo comunque riferendo ad aziende che perdono molti soldi altrove e che oggi vedono il web come una possibile via per attenuare i propri deficit che vengono invece da assai più lontano.
Tutti gli editoriali di M.M. sono disponibili a questo indirizzo