Washington (USA) – Da una parte c’è chi ha compreso i “nuovi tempi” della rete, dall’altra c’è chi è arrivato in rete sperando di poter riproporre vecchi modelli. E così, quando sulla rete inizia a diffondersi un softwarino in grado di craccare Cyber Patrol , il browserfiltro “antiporno” per bimbi soli, l’azienda produttrice non pensa all’aggiornamento del proprio software bensì vuole portare in tribunale gli autori del sistemino liberatutti.
E così Microsystems Software, che produce Cyber Patrol, ha chiesto ad un tribunale federale di mettere immediatamente fuori legge la distribuzione di “cphack”, il softwarino ribelle, e ha detto di aver subito un danno irreparabile dalla distribuzione online del programmino. Non solo, l’azienda ha chiesto che il sito svedese che pubblicava il codice sia costretto a cedere i log per identificare chi ha scaricato il crack dalle sue pagine.
Che siano follie è evidente ai commentatori, che siano follie innocenti lo è meno, visto che i due autori del crack, Eddy Jansson, svedese, e Matthew Skala, canadese, ora devono ricorrere agli avvocati per difendere la propria azione di reverse-engineering.
Sul lato tecnico, il programma di crack era studiato per individuare le password che i genitori utenti del sistema utilizzano per attivare i filtri. Non solo, una volta attivato dava anche accesso all’intera lista di più di 100mila siti internet considerati “inappropriati” per i minori dall’azienda produttrice.
In una intervista telefonica ad Associated Press, Skala, studente universitario, ha detto: “sono contrario sul piano filosofico a software che censura la rete. Il problema era vedere cos’è che Cyber Patrol effettivamente blocca. I genitori hanno diritto di sapere cosa comprano, e senza di noi non lo saprebbero”.