Roma – Si chiama Shi Xiaoyu, è un imprenditore cinese e il 20 ottobre è sparito. Secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) di New York, Shi è stato prelevato dalla sua abitazione dalla polizia cinese e il suo computer e i supporti informatici sarebbero stati sequestrati. Il motivo? Shi si dilettava a raccontare gli scioperi dei lavoratori di una fonderia della città di Chongquing.
La notizia del suo arresto non è riportata su alcuna agenzia ufficiale ma è trapelata grazie alla rete dissidente Chinese Rights Defenders (CRD) secondo cui Shi simpatizzava con gli scioperanti e, in contatto con i loro rappresentanti, aveva iniziano fin da agosto a parlarne online. La questione era poi diventata incandescente quando due manifestanti furono uccisi e molti altri feriti durante la repressione condotta dalla polizia. Notizie, queste ultime, riportate solo dal China Labor Bulletin .
Stando a CRD, la polizia cinese ha iniziato a tenere sotto sorveglianza Shi all’inizio di ottobre. Proprio in quei giorni un attivista cinese, Yang Maodong, noto con lo pseudonimo di Guo Feixiong, è stato arrestato per “aver radunato folle allo scopo di disturbare l’ordine pubblico”. In quel caso Yang ed altri giornalisti, tra cui alcuni stranieri, avevano parlato di corruzione nella provincia di Guangdong: dopo il rilascio di tutti i coinvolti, spiega CRD, solo Yang è ancora agli arresti.
Nel caso di Yang, però, le notizie ufficiali sono arrivate mentre nel caso di Shi ancora non si sa nulla né delle accuse che gli sono rivolte, né di dove e come viene trattenuto o di quando si avrà, se si avrà, un processo a suo carico.
Quanto accaduto a Shi rientra in una strategia consolidata di repressione della libera espressione online da parte del regime cinese. Per molti mesi, dal marzo 1998 al 2000 inoltrato, era rimasto agli arresti, senza che neppure alla sua famiglia venisse data alcuna notizia, l’imprenditore del settore tecnologico Lin Hai, il cui caso aveva sollevato così tanto rumore da indurre le autorità a rilasciarlo. In quel caso l’accusa era di aver “passato” 30mila indirizzi email di utenti cinesi ad un giornale dissidente cinese all’estero.