Cybercrime, chi condivide le informazioni?

Cybercrime, chi condivide le informazioni?

Il problema è lo stesso ovunque: molte imprese preferiscono non parlare dei propri guai con cracker e lamer. In Gran Bretagna non basta una unità cybercop dedicata
Il problema è lo stesso ovunque: molte imprese preferiscono non parlare dei propri guai con cracker e lamer. In Gran Bretagna non basta una unità cybercop dedicata


Roma – Quante imprese vengono attaccate da cracker e affini e quante di queste denunciano gli attacchi condividendo le informazioni raccolte per individuare strategie di aggressione e identificare gli aggressori? Da sempre, in Italia e all’estero, la maggior parte delle imprese, soprattutto quelle che gestiscono dati sensibili o finanziari dei propri utenti e clienti, tiene a non far sapere alcunché degli attacchi subiti.

In Gran Bretagna si sta facendo il punto della situazione. Da qualche tempo è infatti attiva la National High Tech Crime Unit (NHTCU) , una speciale divisione dei cybercop d’Oltremanica che cerca di raccogliere informazioni dalle aziende per contrastare quello che viene definito “e-crime”.

In una intervista a vnunet, il coordinatore di questa unità, John Lyons, ha affermato che “non vinceremo la guerra contro il cybercrime se non condividiamo le informazioni. Ci sono alcune specie di criminali che si avvantaggiano dell’anonimato, ma un attacco informatico lascia delle tracce”.

Sebbene sia difficile credere che sia possibile giungere davvero ad una vittoria completa contro l’e-crime, a contrastare i cybercop è il timore delle imprese di perdere punti di immagine conquistati a suon di pubblicità e, dunque, clienti.

Eppure secondo i cybercop proprio dalla rete, con la possibilità, dimostrata dalla NHTCU, di creare “stanze di condivisione” pressoché anonime che non mettono a repentaglio la reputazione delle società che vi partecipano, viene la speranza di un futuro in cui più facile sia scambiare dati essenziali sulle aggressioni.

Ma non mancano i punti di domanda. La NHTCU ha persino varato una unità dedicata alla gestione dei rapporti con i media per chi ha subito un attacco. Di sicuro è importante per la fiducia delle aziende, ma viene da chiedersi se ad un’impresa che tratta dati sensibili, come informazioni su carte di credito o conti bancari, debba essere consentito di trattenere la notizia di un attacco a chi, in fin dei conti, dovrebbe esigere la massima tutela: il cliente.

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Pubblicato il 27 mag 2003
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