Web (internet) – Da qualche tempo anche in Italia il problema degli ausili informatici per i disabili ha iniziato ad interessare le istituzioni e negli ultimi anni si sono susseguite alcune rilevanti iniziative di carattere legislativo volte a diffondere l’uso degli ausili nelle scuole e nelle biblioteche e a ridurre le spese a carico delle famiglie per il loro acquisto.
Già da tempo chi scrive va sostenendo, rimanendo per lo più inascoltato, che il lavoro di ricerca volto ad un progressivo perfezionamento di tali tecnologie e del loro uso nasconde possibilità che vanno ben oltre il pur irrinunciabile obiettivo di una migliore integrazione sociale dei disabili e di un loro migliore inserimento nel mondo del lavoro.
E ‘ dunque di queste potenzialità che si intende discutere in questo articolo, sia pure attraverso percorsi interpretativi di carattere estremamente generale, nella consapevolezza che tanto la complessità dei problemi tecnici che investono gli sviluppatori di software per disabili quanto le articolate competenze di natura diagnostica e terapeutica richieste agli operatori del settore sanitario, non possono costituire un limite ad uno sguardo di tipo prospettico, volto a individuare gli snodi meno visibili ma più socialmente rilevanti del fenomeno.
Nel caso dei cosiddetti ausili informatici per disabili ha infatti assunto sempre maggiore rilevanza la loro funzione di protesi comunicativa e cognitiva, con funzioni di supporto per operazioni altrimenti difficili o impossibili: il telecontrollo, la videoconferenza, la teledidattica. In questo tipo di prospettiva l’informatica è stata valorizzata di per sé, in assoluto, come possibile strumento per svolgere più rapidamente, e con migliore efficacia, compiti e mansioni ordinarie, che per il disabile presentano “barriere” spesso maggiori rispetto a quanto avviene per le persone cosiddette “normali”.
Non a caso la legislazione prevede forme di agevolazione fiscale non solo per l’acquisto di strumenti specificamente progettati per i disabili, ma anche per dotazioni software e hardware di tipo ordinario come i tradizionali PC e il relativo software. E qui già si intuisce il prendere forma di una ritrovata reciprocità e di intenti tra il cosiddetto “normale” e il cosiddetto “diverso”. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di controllare a distanza, via computer, strumenti di uso domestico quali le tapparelle o gli elettrodomestici, o alla vasta gamma di opportunità offerte ai disabili dal telelavoro. E ‘ uno scenario in cui il disabile “precorre” e, per così dire anticipa, il percorso del “normodotato” che in tali casi può avvalersi, per motivi non così diversi, degli stessi strumenti.
Ma non necessariamente il disabile può utilizzare con disinvoltura uno strumento informatico ideato e progettato per una persona “normodotata”. Ecco quindi il diffondersi di specifici strumenti ideati allo scopo di favorire l’utilizzo dell’informatica da parte del disabile, periferiche e software che considerano la vasta articolazione dei possibili deficit: lettori di schermo sonori e tastiere Braille per ipovedenti e non vedenti, tastiere e sistemi di puntamento per disabilità di tipo motorio, sistemi di sintesi vocale, stampanti e programmi OCR in Braille.
Per quello che riguarda la rete Internet è da tempo iniziata la lotta per l’accessibilità dei siti, che si vorrebbero almeno leggibili attraverso strumenti di sintesi vocale, mentre ancora non si è ottenuta una specifica normativa volta a ridurre i costi di collegamento per i disabili che utilizzano la rete. Anche a questo secondo livello di analisi, che riguarda l’accesso del disabile allo strumento informatico, il rapporto disabile/normodotato si rivela ad uno sguardo appena più attento ancora una volta estremamente fecondo: molte delle interfacce volte a favorire l’uso degli strumenti informatici destinati ai disabili sembrano favorire significativi progressi di carattere generale nel settore della ricerca sull’interfaccia utente.
Tanto per fare un esempio tra i molti possibili, il fatto che Windows privilegi un approccio visivo suggerisce interessanti prospettive circa un suo equivalente “sonoro”, una sorta di traduzione da una modalità sensoriale all’altra, in cui la struttura logica del sistema rimane inalterata ma diviene interpretabile anche per un non vedente.
Si tratterebbe di un’ evoluzione significativa rispetto agli attuali screen reader per Windows (i lettori di schermo per non vedenti) che ancora oggi, nonostante gli eccellenti progressi, stentano, per ovvi motivi, a garantire una buon adattamento del non vedente alle cosiddette interfacce “a finestre”.
In questo caso un’ipotesi di lavoro che nasce sulla spinta di esigenze maturate nell’ambito della disabilità può favorire un uso più mirato e intelligente del sonoro anche per gli utenti cosiddetti “normodotati”. Come l’interazione visuale nei PC è andata progressivamente ad integrare, fin quasi a sostituire, quella a riga di comando, così l’informazione acustica potrebbe integrarsi ad alcune funzioni migliorando significativamente l’efficienza generale del sistema.
In termini forse più astratti ma non meno interessanti la plasticità nervosa di Homo Sapiens, la sua capacità di adattare e accrescere le proprie modalità sensoriali – di cui si è avuto uno spettacolare e persuasivo esempio con l’emersione del linguaggio dei segni adottato dalle comunità dei sordi – apre scenari in cui la sensibilità percettiva viene instradata verso nuove modalità di comunicazione. L’indagine sull’interfaccia informatica si presenta in tal modo come un vero snodo per altrettante “pratiche mutanti” di cui la ricerca sugli ausili per disabili rappresenta forse il laboratorio sperimentale più avanzato. Come scrive Alberto Abruzzese:
“Mutazioni dunque, che sembrano essere -l’una per l’altra – il laboratorio sperimentale della soglia antimoderna. L’orizzonte in cui i disabili intellettuali e fisici che la modernità ha mortificato o segregato possono uscire dalla logica dell’assistenza e sentirsi/farsi finalmente mondo. Finalmente abitare fuori e lontano dalla vista dell’occidente; accecarlo.”
(Alberto Abruzzese, La bellezza per te e per me, Bompiani, 1998)
Non a caso, a questa prima schematica suddivisione, che come abbiamo visto comprende il riconoscimento della funzione “protesica” di valore generale dello strumento informatico e l’ideazione di specifici software per disabili, si devono aggiungere le numerose applicazioni nel settore diagnostico e riabilitativo, dove specifici software vengono progettati e utilizzati per una più fine analisi dei deficit e per integrare e potenziare le tecniche di riabilitazione tradizionali.
Proprio in questo ultimo settore di ricerca si può meglio apprezzare l’integrazione tra lo strumento informatico e le risorse “vicarianti” e plastiche del sistema nervoso centrale. Ad esempio nelle terapie volte a lenire gli effetti devastanti dei traumi cranici l’esercizio di recupero funzionale delle aree lese cui viene sottoposto il paziente può, in molti casi, venire significativamente accelerato e semplificato dall’uso di programmi mirati.
Ai toni forse trionfalistici di queste prime considerazioni fa però da contraltare un notevole ritardo formativo nel settore riabilitativo e dell’assistenza. Raramente nei programmi dei corsi di preparazione per gli insegnanti di sostegno, per gli assistenti domiciliari, o per il personale addetto alla riabilitazione, l’argomento degli ausili informatici per disabili è trattato in modo adeguato. Di qui il forte disagio di operatori chiamati a fornire prestazioni per le quali non hanno potuto sviluppare una specifica formazione.
Del resto anche la semplice gestione di un ausilio informatico per disabili presume, accanto a competenze di tipo riabilitativo, delle conoscenze elementari di informatica e una qualche abilità nelle problematiche hardware con riferimento soprattutto all’installazione delle periferiche. Per questo, non di rado, l’ausilio informatico finisce con il giacere inerte nei magazzini delle scuole o delle biblioteche pubbliche, gelosamente custodito come un’icona sacra da presidi e direttori, simbolo di un’efficienza di superficie, oggetto di culto da spolverare e di cui far bella mostra in occasione di visite ufficiali o nel corso di operazioni pubblicitarie.
Tuttavia queste obesità non sono da addebitare necessariamente a una cattiva amministrazione: i centri più avanzati nella ricerca sugli ausili mostrano senza rossori come diagnosi clinica, analisi del contesto, scelta dell’ausilio, formazione dei formatori e degli utenti, richiedano l’integrazione di competenze molto specifiche raggiungibile solo attraverso un lavoro di team ad elevata professionalità: medici, psicologi, educatori professionali, ingegneri elettronici.
Non a caso “l’ausilioteca” di Bologna, da segnalare tra le aree di eccellenza sia nella diagnosi che nella ricerca in questo settore, presenta un’organigramma di competenze estremamente articolato che solo grazie alle risorse personali degli associati e ai loro piccoli “miracoli” quotidiani riesce a contenere entro limiti accettabili la conseguenza inevitabile di un preoccupante levitare dei costi.
Da questo punto di vista non si può tacere sul fatto che la corsa alla commercializzazione in esclusiva di alcuni importanti software per disabili e la gestione troppo spesso burocratica dei fondi pubblici ad essi destinati finiscono con il favorire un intreccio perverso di costi elevati e inclinazioni clientelari che certo non contribuisce ad una diffusione efficace e capillare degli ausili. Ne si può nascondere che la situazione tende a peggiorare via via che si ci sposta verso il sud della penisola, e anche nella capitale, nonostante l’impegno di alcune organizzazioni di disabili tra cui vale ricordare il S.I.D. (Servizio Informazione Disabili, sid@inroma.it), si riscontrano frequenti lentezze, dovute a pastoie burocratiche e a diffusa incompetenza.
Purtroppo Linux, pur avendo tutte le potenzialità per superare questa coltre di lacci e laccioli, non ha ancora raggiunto una diffusione tale da spingere sviluppatori e produttori di strumenti per disabili a rendere i loro prodotti compatibili con il sistema operativo “Open Source” ideato da Torvalds e colleghi che, almeno sotto questo profilo, presenta un preoccupante ritardo rispetto ai sistemi operativi Microsoft che vantano da tempo un ampio corredo di utilità per l’accessibilità. Si tratta dunque di un obiettivo che gli sviluppatori Linux dovrebbero mettere al più presto in agenda, non foss’altro per lo spirito democratico e pluralista che da sempre anima Linux e che lo candida di diritto al ruolo di strumento principale per gli usi “sociali” dell’informatica del prossimo futuro.