Dossier Adware/ Viaggio nei software-spia

Dossier Adware/ Viaggio nei software-spia

di Leonardo Colinelli. Quali software spiano quello che fa l'utente? Cosa infilano nel computer? A quale scopo? E chi gestisce quelle informazioni? Esplorazione senza veli nei meandri dello spyware e del software travestito
di Leonardo Colinelli. Quali software spiano quello che fa l'utente? Cosa infilano nel computer? A quale scopo? E chi gestisce quelle informazioni? Esplorazione senza veli nei meandri dello spyware e del software travestito


Da alcuni anni, chi naviga per la rete in cerca di software si trova di fronte ad una situazione più complicata rispetto ad una volta. Per esempio, si sono confuse le categorie classiche (freeware, shareware e prodotti commerciali) e, per chi scarichi sul proprio computer un programma nuovo, risulta sempre meno immediato capire bene a quali condizioni quel programma potrà essere visionato e sarà eventualmente utilizzabile. Assistiamo infatti all’abuso sistematico della parola shareware , sotto cui molti autori classificano delle semplici “demo commerciali” (tali devono infatti definirsi tutti i prodotti a scadenza, quelli che si possono usare per x giorni dopodiché, se non acquistati, cessano di funzionare). E assistiamo naturalmente all’abuso della parola free , la quale oramai significa solo una cosa: che bisogna leggere meglio per capire se c’è un trucco.

Elemento significativo, in questa specie di rincorsa a rendere sempre meno visibile la vera sostanza delle cose, sono i software advertising-supported (detti anche adware ). Questo genere di prodotti, che iniziarono a comparire qualche anno fa, sono per lo più caratterizzati dal fatto che possono essere scaricati e utilizzati senza limiti di tempo, senza alcuna formalità e, soprattutto, senza necessità di effettuare alcun pagamento. Durante il funzionamento, tali software visualizzano all’utilizzatore dei banner pubblicitari, il cui scopo è di procurare un guadagno all’autore o produttore del programma.

Bisogna ammettere che un’offerta di questo tipo ha un fascino sicuro e immediato: la possibilità di ottenere programmi talvolta anche di notevole qualità e di usarli senza il fastidio di dover mettere mano alla carta di credito (e pagare in dollari). Di fronte alle funzionalità del programma, del quale magari si aveva proprio bisogno, e al non dover effettuare pagamenti, si è portati a valutare piuttosto velocemente il fatto che compaiano dei banner pubblicitari, giungendo a considerare la cosa del tutto accettabile quando non irrilevante. Una valutazione che ha invece delle implicazioni e che non dovrebbe essere effettuata sbrigativamente. Vediamo perché.


Come funzionano questi software? Partiamo da ciò che è noto e non stupisce.

Va detto innanzitutto che il software adware non viene distribuito con i banner codificati al proprio interno ma viene confezionato in modo che, installandolo, si installino al tempo stesso anche alcune funzionalità aggiuntive, non facenti parte del programma ospite. Normalmente scritte non dallo stesso autore ma da una compagnia di advertising, queste funzionalità aggiuntive operano utilizzando la connessione internet dell’utente. Via Internet, esse contattano periodicamente i server della compagnia di advertising, in maniera normalmente non notata dall’utente. Attraverso queste sessioni di collegamento, il software di advertising riceve dalla “casa madre” nuovi banner da visualizzare e trasmette ad essa varie informazioni.

Quali siano queste informazioni è cosa che varia a seconda dei casi. Tuttavia possiamo immaginare che tra esse ci sia senz’altro un codice che individui il programma ospite, in quanto una stessa compagnia di advertising supporta parecchi differenti software adware ed ha, pertanto, necessità di questa informazione per accreditare gli introiti individualmente a ciascun produttore. Ci saranno poi delle informazioni relative a quali banner sono stati visualizzati e quali di essi sono stati cliccati. Ovviamente, nessuno sponsor accetterebbe di pagare per della pubblicità senza sapere quante volte il suo banner è stato visto e quante volte è stato cliccato. In aggiunta, qualcuno dei più comuni software di advertising presenta all’utente (in genere una tantum al termine dell’installazione) un pannello in cui compilare, per esempio barrando delle caselline, un vero e proprio profilo di sé stesso, indicando i propri interessi.

Lo scopo è chiaro: inviare a quell’utente, in via preferenziale, banner orientati su quel profilo di interessi. Uno sponsor è molto più disponibile a pagare se ha evidenza che, per esempio, il proprio banner relativo a cibo per gatti è stato mostrato a qualcuno che dichiara di interessarsi agli animali, piuttosto che a qualcuno che dichiara di interessarsi all’arte o ai computer. Questi dati del profilo di interessi vengono quindi inviati alla compagnia di advertising che da qualche parte dovrà metterli per utilizzarli.

Oltre a queste, ci saranno altre informazioni che giungono alla compagnia di advertising? Qui il discorso si complica, perché dovremmo chiederci se qualcuno di questi software, approfittando del privilegio di essere in esecuzione su un computer, si permette di ficcare il naso anche in dati o in altre cose che non sono affar suo. Qualsiasi prodotto, e quindi anche il software di advertising, ha tecnicamente tutte le possibilità di “allargarsi troppo”, e può farlo dichiarando tutto (o quasi) nella documentazione fornita all’utilizzatore, come può farlo di nascosto (non necessariamente con intento malevolo), come avremo modo di vedere. Per i casi in cui il software rilevi informazioni giudicabili troppo significative riguardo all’utente e alle sue abitudini, alcuni usano il termine spyware .


Vediamo qualche esempio di attività che certi di questi software dichiarano esplicitamente di fare. A questo scopo prendiamo qualche frase particolarmente significativa dall’End User License Agreement di un prodotto adware (nel passo riportato, “Xxx” sostituisce il nome del produttore del programma ospite, mentre Web3000 è il reale nome della compagnia di advertising):

The Software now includes the Web3000 Network, providing you with exciting links from all over the internet. The Web3000 Browser Headline is a button on the top of your browser that displays links to internet sites. These links are specially designed to make it easier for you to find information and products on the internet. We encourage you to explore these links and discover the treasures of the internet.

PLEASE NOTE: BY ACCEPTING THIS AGREEMENT, YOU ARE ALLOWING WEB3000.COM AND XXX TO USE CERTAIN INFORMATION OF YOURS, ALL AS DESCRIBED IN THIS SECTION 10.
Basic Contact Information. During registration, Web3000.com and Xxxx collect “Basic Contact Information.” Basic Contact Information means name, email address, gender, age group, country, operating system, browser type last used, and if purchases have been made on the net. This Basic Contact Information is stored on Web3000.com and Xxx servers.
….
In order to provide this service, Web3000.com and Xxx collect information on your web usage that remains anonymous to third parties. Web3000.com and Xxx may derive personal preference profiles from your Personal Information and web usage. Neither Web3000.com nor Xxx will voluntarily disclose, sell or trade your Personal Information to any third party without your PRIOR consent.

Per la cronaca, il prodotto dalla cui licenza abbiamo estratto queste righe era un sostituto del notepad (categoria in cui si possono trovare anche molti software veramente gratuiti). Istintivamente ci verrebbe da osservare che, solo per sostituire il notepad con qualcosa di meglio, questo prodotto introduce un po ‘ troppe cose nel nostro sistema e segue i nostri passi in rete, come dire, un po ‘ troppo da vicino.

Saltano all’occhio alcune parole scelte con arte (es.: fantastici link; per renderti tutto più facile; per scoprire i tesori della Rete… ), le quali fanno passare in secondo piano il fatto che il prodotto in questione opera una vera e propria customizzazione del browser. In pratica può succedere che, volendo semplicemente un migliore notepad, qualcuno si ritrovi questa ingombrante presenza che accompagnerà sempre il suo browser, che egli usi quel notepad o no, e che gli viene tecnicamente impedito di disinstallare (occorre prima avere disinstallato il programma ospite ed ogni altro eventuale software aderente alla stessa rete di advertising).

Naturalmente ogni compagnia di advertising ha i suoi sistemi. Preso un altro prodotto, dopo aver cercato nella licenza d’uso abbiamo trovato un interessante paragrafo che riportiamo qui. Nello stralcio, “licensed software” è riferito al software di advertising, non al programma ospite; va poi osservato che tutto il testo qui riportato era scritto integralmente in maiuscole e senza andate a capo, divenendo quindi assai sgradevole e faticoso da leggere:

You expressly acknowledge and agree that demographic and personally identifiable information collected by the licensed software may be used by RADIATE, INC., and/or the manufacturer of the product, as well as shared, rented, leased, sold, or otherwise made available to third-parties at the sole discretion of RADIATE, INC., in accordance with RADIATE, INC.’s privacy policy statement.
You also acknowledge and agree that the licensed software may also generate pop-up dialogue boxes requesting you to voluntarily provide certain personally identifiable information, and requiring you to provide certain demographic information during registration of the product, and/or from time to time thereafter, while the product is active.

You further acknowledge and agree that the licensed software shall reside on your local system and may operate unobtrusively in the background, performing a live update, delivering additional requested software, collecting and transmitting information related to the display and tracking of advertising and any volunteered demographic and/or personally identifiable information about you to RADIATE, INC.’s servers whenever your web browser is active, whether the product incorporating the licensed software is active or not.

Anche qui notiamo l’arrivo di una presenza ingombrante, che si attacca al browser e che opera per i fatti suoi, magari in maniera visivamente meno evidente che nel caso precedente ma permettendosi anche più cose, come per esempio il fatto di installare ulteriori moduli software a propria discrezione. Chi si aspettasse che basti tenere spento il programma ospite per tenere disattivi i moduli di advertising viene esplicitamente disilluso nell’ultima frase. In questo accordo di licenza non si fa cenno alla sorveglianza delle abitudini di navigazione dell’utente (che, comunque, è tecnicamente possibile siano rilevate e trasmesse), mentre si dichiara esplicitamente, a differenza dell’esempio precedente, che informazioni sia demografiche che personalmente identificabili verranno utilizzate, cedute e vendute a sola discrezione della compagnia di advertising.


Anche nel migliore dei casi, un problema esiste: la difficoltà che l’utilizzatore incontra nel mantenere cognizione e controllo di ciò che avviene sul suo computer. Una posizione che potrebbe apparire ragionevole sarebbe di dire: “qualunque cosa faccia, basta che lo dichiari, così che l’utente possa decidere se cliccare “Agree” oppure no”. Il problema è che “Agree” non significa nulla se non si può parlare di vero e proprio consenso informato .

Come detto, con più o meno precisione e completezza i produttori di software dichiarano qualche dettaglio del modo di operare dei prodotti. Si tratta di indicazioni, normalmente inserite nel legalese della licenza d’uso, dalle quali l’utilizzatore non potrebbe quasi mai ricavare, quand’anche avesse una buona cultura tecnica, una sensata valutazione delle implicazioni di ciò che il software fa, in aggiunta alle sue funzioni primarie per cui è stato installato, né una valutazione di quanto e come il suo sistema venga ad essere diverso rispetto a prima (perché di ciò inequivocabilmente si tratta).

Per esempio, è estremamente difficile che l’utente possa farsi un’idea di quanto gli costi, in termini di risorse, l’attività delle funzioni di advertising. Il fatto che un prodotto sia adware significa inevitabilmente che si avrà una maggiore occupazione di spazio disco, nonché un maggiore utilizzo di cpu e di memoria virtuale. Questi incrementi possono anche non essere trascurabili e, comunque sia, avranno l’effetto di anticipare il giorno in cui l’utente si troverà a dover potenziare il proprio hardware. Si è poi visto che, essendo essenziale per il software di advertising la comunicazione con la casa madre, una parte della capacità della connessione internet dell’utente viene assorbita a tale scopo; anche in questo caso, come può l’utente rendersi conto esattamente dell’entità di questo costo, se nessuno gli dichiara quanti byte circolano e ogni quanto tempo?

Col crescere dell’attenzione su questo problema, sono via via venuti alla luce vari particolari sgradevoli su alcuni prodotti. A cominciare dal fatto che certuni installano dei task automaticamente avviati alla partenza del sistema operativo, che restano attivi indipendentemente dal fatto che il programma ospite venga utilizzato o no. Per non parlare del fatto che, anche dopo aver disinstallato il programma ospite, certi software di advertising restano.

Proseguendo, si segnalano casi di prodotti che, senza dir nulla, rimpiazzano con versioni loro certi file critici di sistema; per esempio, anche se nella licenza la cosa non viene dichiarata, certe versioni del Web3000 rimpiazzano la WSOCK32.DLL (non è una dll qualunque: si tratta del modulo tramite il quale le applicazioni accedono alle funzioni TCP di Windows).

Senza arrivare a tanto, la semplice interazione di certi software con il browser può portare con sé conseguenze spiacevoli sulla stabilità del sistema: per esempio un articolo nella knowledge base di Microsoft spiega che il software Radiate già menzionato provoca vari errori di “page fault” in Internet Explorer 5.5. Ci sono poi alcuni casi estremi come un certo tsadbot.exe che, a quanto si riferisce, riesce a rendersi invisibile (alcune sue versioni non compaiono nella lista dei task che appare azionando il Ctrl-Alt-Cancel di Windows) e, qualora la presenza di un firewall gli impedisca di contattare i server della casa madre, effettua raffiche di tentativi con tale frequenza da ostacolare il regolare funzionamento del sistema su cui si trova.

Va pure detto che, molte volte, si vedono rivolgere a certi di questi software accuse pesanti e non sempre rispondenti alla realtà. Capire come stiano effettivamente le cose può non essere per niente semplice, in quanto occorre o cercare riscontri degni di fede o condurre in proprio delle prove, cosa per cui ben pochi hanno l’equipaggiamento, le competenze e il tempo per fare.

Il rischio esiste e l’utente normale non può contare su valide forme di tutela.

Quanto ai principali produttori di antivirus, alcuni di loro hanno avuto modo di indagare su qualcuno di questi software. Ne hanno concluso che non si tratta di veri cavalli di Troia e che, quindi, non è compito loro rilevarli o rimuoverli: ogni utente decida per sè se accettarli o no.

Per ciò che riguarda i software “spioni”, quelli cioè che portano fuori dal computer dei dati che l’utilizzatore non si aspetterebbe, episodi eclatanti sono stati documentati da Steve Gibson , un esperto di problematiche di sicurezza in rete che da tempo si interessa a questi software insidiosi. Gibson ha esaminato alcuni prodotti adware per l’effettuazione di download scoprendo che, durante il funzionamento, tali prodotti trasmettevano alla casa madre varie informazioni tra cui un GUID di Windows. Per evitare di scendere in troppi dettagli, diciamo che il GUID è un identificativo costante, legato alla scheda di rete installata, la cui trasmissione rendeva quindi riconoscibile nel tempo il computer da cui si effettuavano i download. Inoltre, alla casa madre veniva comunicata la url di tutti i file scaricati usando quei prodotti. Per parafrasare un vecchio detto, “dimmi che file scarichi e ti dirò chi sei”. E soprattutto saprò quali banner mandarti.

Va detto che, nel caso descritto da Gibson, sembra di poter dire che non esistesse effettiva malizia da parte del produttore del software, che aveva recentemente acquistato il prodotto da un’altra azienda che lo aveva sviluppato. Il GUID era presumibilmente una semplice sconsideratezza da parte del programmatore originario e, messo di fronte all’evidenza, il produttore emise un nuovo release che eliminava le scorrettezze segnalate da Gibson. Il problema però resta, perché nulla impedisce che queste cose succedano ancora, magari intenzionalmente e realizzate in maniera più raffinata. Non è detto che Gibson o altri siano sempre lì a scoprirle, o quanto meno non ci fa piacere pensare di dover contare su questo. Incidentalmente, possiamo osservare che un meccanismo del tutto equivalente al GUID di cui si è appena detto viene dichiaratamente utilizzato da qualche sistema di advertising (es. Cydoor).


Al momento di installare un prodotto adware, dobbiamo preoccuparci seriamente per possibili rischi alla nostra privacy, oppure i rumori che si sentono su questo punto sono eccessivi? Sicuramente molti pensano: “Embè? Se anche il prodotto scarica dalla rete qualche banner e spedisce qualche altra informazione, che problema c’è? Anzi, se mi manda dei banner che a me interessino di più, è meglio.”

In effetti a questo punto occorre rivedere la nostra “cultura collettiva” sulla privacy, alla luce delle tecnologie che evolvono. Specialmente da quando la legge 675 sulla tutela della riservatezza dei dati ha arricchito la nostra vita quotidiana di clausole da firmare in ogni occasione, certamente la maggior parte di noi ha chiari i rischi più eclatanti a cui possono portare le violazioni di privacy. Se qualunque informazione riguardante una persona potesse circolare da un soggetto all’altro, all’insaputa dell’interessato e al di fuori del suo controllo, venendo archiviata e usata per scopi arbitrari, la vita di quella persona rischierebbe di incorrere in tante brutte sorprese. Potrebbe vedersi respingere al momento di cercare lavoro, vedersi rifiutare il credito dalle banche, vedersi rifiutare una polizza di assicurazione sulla vita e chissà quanti altri esempi si potrebbero fare. Tutto questo avverrebbe in maniera inspiegabile per l’interessato, magari perché sta andando in giro qualche informazione inaccurata, equivocata o del tutto falsa (ci sono anche i casi di omonimie).

Quella che a tutt’oggi abbiamo è quindi una cultura della privacy molto concentrata sul concetto di informazioni sensibili, ossia dati di particolare significato per la vita sociale. Non ci viene così immediato riconoscere uguale pericolo nella diffusione di dati che, certamente, non hanno implicazioni paragonabili.

Il problema però c’è, ed è innanzitutto sul fatto che, quando usiamo quei software adware, non abbiamo esatto dettaglio di quali informazioni escano dal nostro computer e non abbiamo nessun controllo su dove vadano a finire. Sappiamo che vengono accumulate da qualche parte, e che non abbiamo possibilità di modificarle o cancellarle. Non sappiamo in tutto e per tutto come saranno usate, né a chi saranno prima o poi cedute.

Ma, si dirà, possiamo stare attenti in modo che il nostro nome non ci sia da nessuna parte, e poi il contenuto di ogni singola informazione ha in ogni caso una valenza molto bassa…

E ‘ vero, ma occorre stare attenti alla tecnologia. La tecnologia e le capacità di elaborazione oggi disponibili sono l’elemento nuovo di questa partita. Grazie alla tecnologia le informazioni di database differenti possono essere incrociate, e diventare sempre più significative. Magari in qualche passaggio potrebbero pure saltare fuori nome, cognome ed indirizzo di email, come era successo a Steve Gibson mentre esaminava quei prodotti adware di cui dicevamo prima (colpa di un vecchio cookie rimasto sul suo pc, ormai dimenticato dopo un acquisto on-line).

Possiamo capire chi dicesse di non esagerare, che non bisogna ragionare in base a casi estremi, dovuti all’improbabilissimo verificarsi di tante condizioni, ma non bisogna dimenticare che, con gli strumenti già disponibili e con quelli nuovi che potranno essere escogitati, i casi saranno sempre meno estremi di come noi li possiamo giudicare oggi. In concreto dobbiamo già fare i conti con il fatto che da qualche parte possa costituirsi, per quanto anonimo, un profilo che ci descrive e che costituisce un asset per qualcuno che non conosciamo, qualcuno che da quel profilo trarrà profitto e che, del proprio lavoro, non rende conto a noi.

Quel profilo gli consentirà di indirizzare su di noi le sue capacità di marketing, per sollecitarci in maniera sempre più sofisticata a comprare qualcosa in ogni momento della nostra vita. Questo ci piace? Ci è indifferente? O forse, questo essere permanentemente considerati un consumatore , il cui potenziale di acquisto va sfruttato al massimo, con tecnica e furbizia, ci fa piuttosto perdere che non guadagnare qualche briciola della nostra dignità?


Diciamo subito che stiamo assistendo ad una gran brutta tendenza. Molti software che erano da lungo tempo noti come gratuiti stanno via via passando ad adware, come è il caso, per fare un recente esempio , di ICQ. Chiunque oggi stia utilizzando un prodotto freeware potrebbe avere la sgradita sorpresa prima o poi, al momento di aggiornarlo ad una nuova versione. Occorre dunque guardare attentamente ogni volta.

Si è già sentito parlare di prodotti adware anche nei software forniti in dotazione a nuovi pc ( il caso che conosciamo riguarda Corel, ma altri potrebbero seguire da un momento all’altro). Tutto fa pensare che questa tendenza sia ancora lontana dall’esaurirsi, anche perché su di essa si innesta assai bene la più ovvia delle mistificazioni: continuare a dire che il prodotto è “free” o, come certuni pudicamente specificano, “no-charge”. C’è chi non si fa problemi a dichiarare con evidenza che il prodotto è “freeware”, per poi aggiungere (in posizione più defilata) che il prodotto incorpora una qualche tecnologia di advertising. Si tratta di una categoria che cresce, a spese delle categorie dei veri freeware, dei veri shareware e pure dei software commerciali.

Caso degli ultimi giorni è quello del browser Opera, divenuto adware dopo essere stato, storicamente, un prodotto a pagamento con periodo di 30 giorni di valutazione gratuita.

In questo quadro, cosa si può consigliare a chi stia cercando in rete per trovare la migliore soluzione software a qualche propria necessità? Innanzitutto di esaminare con cura tutto ciò che gli pare interessante, al fine di capire al più presto in quali termini venga distribuito. Se trova un prodotto interessante nella categoria degli adware, non intendiamo assolutamente dire che lo debba scartare ipso facto . Ma raccomandiamo di non lasciarsi abbagliare dal fatto che nessun pagamento è richiesto.

In realtà per un prodotto adware si paga in altro modo: soprattutto con una quota delle proprie risorse elaborative e di connettività e con il fastidio di sentirsi osservati e sollecitati in continuazione, con modalità che vanno ben oltre il semplice utilizzo che si pensa di fare del prodotto in questione. Già sulla base di questo si può concludere che, se si intende utilizzare un prodotto per lungo tempo, adware non è la forma di pagamento più conveniente. Un prodotto software potrà ragionevolmente valere un certo prezzo, così come anche la ricezione di un singolo banner avrà una valutazione monetaria. Se il software viene usato indefinitamente, è come se l’utilizzatore pagasse una quota infinita.


Pertanto, se si sta considerando un prodotto adware per farne, ad esempio, il proprio strumento di download definitivo, occorre accertare se è possibile acquistarlo in modo da poterlo utilizzare senza advertising, come se fosse normale software commerciale. Per la totalità o quasi dei software adware oggi conosciuti, questa opzione esiste.

Occorre però anche vedere cosa viene fornito a chi scegliesse di registrare il prodotto: se viene fornito un semplice codice di registrazione, da inserire nel prodotto per far sparire i banner, ciò non va considerato sufficiente, in quanto installando o reinstallando il prodotto (per esempio in occasione di nuovi release), i moduli di advertising verrebbero verosimilmente reimpiantati nel sistema. Occorre verificare che venga fornito un differente file di distribuzione riservato agli utenti registrati, così che questi possano effettuare le proprie installazioni senza mai più venire in contatto con i moduli di advertising.

Qualche prodotto prevede effettivamente versioni distinte, altri no. Se il prodotto di vostro interesse fornisse un unico file di installazione, è il caso di contattare l’autore e richiedere un differente file che non installi la parte di advertising: c’è ottima probabilità che sia possibile averlo. In caso contrario è meglio riconsiderare l’acquisto.

Si tenga presente che inserire il codice di registrazione, laddove previsto, fa sì sparire i banner dal prodotto, ma in genere lascia tutti i moduli di advertising nel sistema, e come abbiamo visto non sempre c’è garanzia che siano inattivi. Pertanto, se vi è già capitato di installare prodotti adware e li avete successivamente tolti o acquistati per il funzionamento banner-free, sarà il caso di preoccuparsi della pulizia del vostro sistema.

Va detto che in genere i moduli di advertising hanno una propria procedura di disinstallazione separata, che occorre cercare e, se esiste, eseguire. Va poi usato un prodotto di scansione per rintracciare ed eliminare eventuali residui sopravvissuti alla disinstallazione.

Ad oggi, esiste un prodotto gratuito (nel vero senso della parola) che è in grado di scovare e rimuovere tutto ciò che questi software inseriscono nel sistema, dalle dll infiltratesi nelle directory di Windows alle chiavi del registry e molto altro. Il prodotto si chiama AD-aware e può essere trovato nella apposita pagina sul sito del produttore LavaSoft. Si tratta di un prodotto molto conosciuto e apprezzato, che da tempo è considerato un sussidio essenziale per chiunque abbia a che fare con i software advertising supported.

Tutto bene, allora? Mica tanto. Grazie a questa nuova trovata del software sponsorizzato siamo costretti a maggiori seccature se intendiamo tenere il nostro computer pulito. Inoltre, ci accorgiamo che viene inesorabilmente cancellato il vecchio concetto dello shareware, secondo cui si può provare un software non gratuito per un ragionevole periodo senza pagare nulla, per poi decidere se acquistare o no. Con i software adware, invece, si corrisponde un prezzo anche per il periodo di valutazione.

In definitiva ci sembra più che legittima qualsiasi opinione, compresa naturalmente quella di chi fosse entusiasta di utilizzare software adware e considerasse non significativa alcuna delle preoccupazioni o considerazioni che abbiamo qui espresso. Per quanto ci riguarda, comunque, restiamo con la convinzione che, se questa nuova forma di pagamento del software non fosse mai stata inventata, non avremmo perso molto. Ci pare proprio che, per prosperare, questa pratica di mercato abbia bisogno soprattutto della non-conoscenza. Quindi, se nel tempo la vedessimo scomparire, non riusciremmo a dolercene particolarmente.

Leonardo Colinelli

da non perdere:

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Pubblicato il
12 dic 2000
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