Roma – Software libero, comunità open source, arte digitale e filosofia rasta. Si chiama Jaromil ed è una delle personalità più eclettiche della scena informatica italiana. Indipendente per vocazione, Jaromil è artista digitale (le sue opere sono esposte, tra gli altri luoghi, anche al Whitney Museum Artport di New York e al negotiations 2003 di Toronto), ma soprattutto stimatissimo programmatore, con al suo attivo tre software distribuiti sotto licenza open source ed un sistema operativo. L’ultimo parto della “sua” dyne.org , ora formalmente una fondazione, è Dyne:bolic , un pacchetto di software per la produttività multimediale (riproduzione, registrazione ed editing sia audio che video) indirizzato ad artisti ed attivisti dei media pronto per girare sotto Linux con licenza, chiaramente, open source. Ma quello che più stupisce di dyne:bolic è la maniera in cui è distribuito.
Il software infatti si accompagna ad un sistema operativo Linux, sviluppato sempre da Jaromil, che oltre ad installarsi normalmente può anche girare direttamente da CD. Dal sito dynebolic.org è possibile scaricare il file immagine (.iso) del software, da masterizzare su un CD per renderlo un disco di avvio in Linux. In questo modo, il sistema si avvia con Linux senza doverlo installare ed è pronto ad eseguire Dyne:bolic; se poi si intende farlo girare da hard disk, basta copiare tutto in una directory.
Per saperne di più abbiamo sentito direttamente l’autore
Punto Informatico: Spiegami bene, quali sono le particolarità di Dyne:bolic?
Jaromil: Innanzitutto può girare sia da Cd che da hard disk, e questa è una grossa novità rispetto alle altre distribuzioni. È qualcosa che non era venuto in mente a nessun altro, anche perché per farlo ho dovuto modificare l’architettura di tutto il sistema, molte cose girano in RAM, che è una cosa un po’ differente dal solito, per questo con la versione 2 sto cercando di riportare le cose alla normalità delle altre distribuzioni, perché così come stanno le cose implicano molte limitazioni.
Ma l’idea è tutta nell’approccio, finalizzato a rendere più facile la fruizione, soprattutto perché quando si ha Windows sul computer e si vuole installare Linux occorre partizionare e fare un dual boot e questo comporta sempre dei problemi, almeno per la mia esperienza. Inoltre una distribuzione di questo tipo è molto comoda specialmente quando si arriva in un posto, si ha bisogno di un computer e magari non ci sono montati i software necessari che vanno quindi installati e ciò fa perdere molto tempo.
PI: Da dove nasce l’idea di un pacchetto di software multimediali?
J: Il motivo risale almeno al 1994/95 quando c’era RadioCyber Net che era la trasmissione radio in rete per chi stava nel canale chat di cybernet (sto parlando degli albori di internet) e fin da allora ci piaceva la cosa di poter trasferire suoni in tempo reale, anche perché molti di noi erano radio amatori e sognavano di poter trasmettere con la radio ma non si poteva per le licenze. Quindi mi sono deciso a scrivere questo software, Muse, poi incluso in Dyne:bolic.
PI: A cosa ti sei ispirato per MuSE?
J: Mah… A dire il vero non uso software proprietari da svariati anni, l’ultimo programma di elaborazione audio proprietario che ricordo è StoneTracker su Amiga. L’ispirazione me la diedero Mex e August, due matti che facevano Fundamental Radio, una trasmissione radio nella quale con Icecast volevano mixare cose dal vivo. Mi parlarono a lungo di questa possibile applicazione che mixasse audio con voce e lo mandasse in rete.
PI: L’open source si è molto evoluto dagli inizi. Che futuro vedi?
J: Beh, dipende da che punto di vista. Da quello commerciale c’è sicuramente futuro perché è conveniente. Società come IBM, HP o Novell hanno un assetto capitalista che di norma sostiene un processo decisionale opportunista: il fatto che loro siano passati alle tecnologie libere è una prova
del fatto che queste funzionano meglio.
PI: E al di là di questo ambito?
J: Se devo essere ottimista vedo un futuro che possa dare spazio agli sviluppi socialmente consapevoli. Perché il software ha un certo peso nella nostra comunità permettendoci di comunicare in un certo modo invece che in un altro. Dyne.org 5 anni fa era solo un sito web messo su da me per pubblicare e distribuire il mio software, ora è una fondazione e qui in Olanda è stata riconosciuta come un’attività no profit. Vedendo queste cose per forza mi viene da pensarla in maniera ottimista.
Ultimamente ho letto molti libri pubblicati da teorici e critici di rete e software che continuano ad evolvere il concetto di software libero. Questo in quanto strumento di comunicazione ha una rilevanza di portata politica e sociale, deve venire sviluppato e utilizzato dalle comunità e non venduto dalle aziende che ci speculano. Poi è chiaro che le comunità possono pure organizzarsi e pagare un programmatore per includerlo nel proprio insieme, ma il punto deve rimanere comunque una sorta di sviluppo consapevole e collettivo di un architettura per il nostro essere digitali.
Intervista a cura di Gabriele Niola