Editoria elettronica, il caos del ROC

Editoria elettronica, il caos del ROC

Interlex.it pubblica una prima analisi degli obblighi legati al Registro degli operatori di comunicazione. E mette in evidenza le contraddizioni con la legge sull'editoria. Riaffiorano tutti i problemi per i siti non professionali
Interlex.it pubblica una prima analisi degli obblighi legati al Registro degli operatori di comunicazione. E mette in evidenza le contraddizioni con la legge sull'editoria. Riaffiorano tutti i problemi per i siti non professionali


Roma – Il Registro degli operatori di comunicazione (ROC), appena varato da parte dell’Authority, rappresenta un ennesimo problema normativo per chi conduce attività online non professionali e non risolve, come invece qualcuno sperava, le contraddizioni insite nella legge sull’editoria, la 62/2001.

La possibilità di iscriversi al ROC, che avrebbe dovuto semplificare la vita ai siti intenzionati ad adempiere a quanto previsto dalla nuova legge, è in realtà limitata ai siti che ottengono ricavi dalla propria attività internet. Rimangono fuori tutte le altre tipologie di attività assimilabili al concetto di “prodotto editoriale” di cui parla la 62/2001, sulle quali incombe il peso di una struttura normativa caotica.

Ad avvertire che con il ROC la situazione si fa ancora più confusa è ancora una volta Manlio Cammarata di Interlex.it che, in un approfondimento appena pubblicato, spiega: “Ora la situazione è questa: i periodici on line sono soggetti comunque all’obbligo di iscrizione nei registri dei tribunali e nel ROC solo se prevedono di conseguire ricavi. In caso contrario la disposizione dell’art. 16 della l. 62/01 è inapplicabile. Nessun problema per le testate che sono il frutto di un’attività editoriale professionale o di impresa. Ma come la mettiamo per l’informazione non professionale, che non può permettersi un direttore responsabile per l’iscrizione nel registro del tribunale e che non può avere la previsione di ricavi che è la condizione per l’iscrizione nel ROC?”

Per rendersi conto della situazione è sufficiente dare un’occhiata al regolamento del ROC. L’iscrizione, che stando alla 62/2001 consente di far partire le pubblicazioni (!) e di evitare le registrazioni già richieste dalla legge sulla stampa 47/48, è aperta solo a certe tipologie di attività.

Cammarata va oltre, spiegando come l’iscrizione nei registri della stampa e l’iscrizione nel ROC non possano essere considerate equivalenti. Basti pensare che la legge sulla stampa si occupa della pubblicazione mentre quella istitutiva del ROC (249/97) si occupa di chi pubblica, che nel primo caso si chiede il direttore responsabile e nel secondo non se ne parla, che le sedi di registrazione (tribunale o ROC) sono così diverse sotto il profilo giuridico, nella forma, nella sostanza e nelle conseguenze.

In pratica, dunque, l’iscrizione al ROC, prevista dall’articolo 16 della legge sull’editoria, non consente di evitare l’iscrizione al registro della stampa previsto dalla legge sulla stampa. “Nonostante l’articolo 16 – spiega Cammarata – per la stampa periodica restano obbligatorie ambedue le iscrizioni, perché la semplice annotazione nel ROC non può determinare gli effetti giuridici dell’iscrizione presso il tribunale.”

Per tutti, dunque, rimane quanto previsto dall’articolo 1 della “famigerata” legge sull’editoria, quella che si richiama alla legge sulla stampa, attribuendo al “prodotto editoriale” non meglio specificato gli obblighi previsti da quest’ultima: “Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi”. Se la registrazione non viene fatta, si può parlare di stampa clandestina…

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Pubblicato il
13 lug 2001
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