Web (internet) – Zero-Knoweledge ha annunciato nei giorni scorsi la nuova versione di Freedom, un software che ha già dato molta popolarità all’azienda perché si propone di “schermare” l’utente che lo utilizza dalla “raccolta dati” cui è sottoposto chi naviga sulla rete. Si tratta in pratica di un software promosso come sistema che garantisce l’anonimato online.
Freedom “aggancia” tutte le attività in rete condotte dall’utente, dalla navigazione su web al chat, ad uno pseudonimo che rende visibili solo le informazioni che si desidera. Con Freedom, cioè, si viene visti quando si è online ma viene “visto” solo ciò che si vuole oltre allo pseudo. Il prodotto costa 50 dollari, può essere scaricato online e funziona solo sotto Windows sebbene l’azienda affermi che a breve potranno utilizzarlo anche coloro che sfruttano Mac o Linux. Ogni pseudo generato da Freedom “vale” per un anno, dopodiché decade.
Secondo il presidente dell’azienda, Austin Hill, intervistato da PCWorld, ogni operazione online dell’utente di Freedom passa attraverso 150 server dedicati, ognuno dei quali cancella l’informazione precedente: “nessun server conosce la fonte o la destinazione finale dell’operazione”. Secondo Hill in questo modo si può realizzare una identità digitale senza rivelare nulla della propria identità reale.
Il punto chiave, però, è la fiducia che l’utente deve preventivamente riporre nel sistema di Zero-Knoweledge. Perché proprio quelli che vengono citati come gli elementi di forza del servizio sembrano essere in realtà punti deboli. Solo se si fida, infatti, chi installa Freedom può sentirsi “al sicuro”: tutte le informazioni da schermare e cancellare sono fatte passare attraverso una catena di server controllati dall’azienda. In altre parole il meccanismo stesso utilizzato dalla società per “cancellare” le tracce di quanto avviene in rete è un “imbuto” che l’utente comunque deve attraversare, imbuto nel quale a sua insaputa rischia di lasciare le informazioni che vuole cancellare.
Ma ci sono altri due problemi per l’utente. Il primo è legato all’algoritmo di crittazione usato per proteggere le operazioni in rete. La softwarehouse parla di chiavi a 128 bit che sono però soggette a forti limitazioni nell’esportazione: cosa arriverebbe dunque in mano ad un utente europeo? Altro problema è quello relativo al fatto che il sistema di “protezione” viene attivato su tutte le operazioni online compiute e non soltanto su quelle alle quali si può essere interessati di volta in volta. Da Zero-Knoweledge, a cui abbiamo richiesto delle risposte su questi punti, ancora non sono giunte risposte.